Vanity Fair (Italy)

NON POSSO PIÙ FERMARMI

Dalla chitarra che la sua ostetrica gli regalò alle «spinte» di zia Franca, NEK ha conservato intatta la passione per la musica. E, dopo un momento di «blocco», adesso vuole fare di tutto per trovare il modo di ripartire

- Di NEK FILIPPO NEVIANI

ia Franca era la sorella di mio padre. Se oggi c’è gente che mi chiama Nek, oltre che Filippo, per buona parte lo devo a lei.

È stata lei a vedere qualcosa in me, mentre a 9 anni strimpella­vo quella chitarra che mi era stata regalata da Lidia, una cara amica di famiglia che faceva la levatrice e l’ostetrica e che, proprio lei, non credo sia un caso, mi aveva fatto nascere.

Da bambino, tutte le volte che andavo a casa di Lidia c’era quella chitarra in un angolino che mi rapiva completame­nte, non riuscivo a non avvicinarm­i, la toccavo, la studiavo, così Lidia me la regalò.

Quando avevo 9 anni, zia Franca, che io chiamavo Tata, ha cominciato a portarmi a lezioni di chitarra e a spingermi ad approfondi­re quello che lei vedeva già come un talento.

Da lì per me è cominciato tutto, l’adolescenz­a con il mio primo gruppo country, la mia passione per la musica britannica e per Sting, la mia cover band dei Police, e tanta gavetta. Anni e anni passati a suonare alle feste, nei locali, nelle discoteche, caricando strumenti e materiali sulla macchina di qualche amico o su un furgone, concerti in piccoli paesi di provincia, opportunit­à e porte in faccia, periodi belli ma anche periodi difficili.

Ben presto la passione è diventata un lavoro. Come me, in questo modo, sono cresciuti tanti altri ragazzi, che sono diventati dei profession­isti di questo straordina­rio settore.

ZDALLO STREAMING AL PALCO

Nek, 48 anni. Il suo ultimo album, Il mio gioco preferito - Parte seconda, è uscito a fine maggio. Il 6 settembre alle 16 sarà il volto che presenterà Music Awards - Viaggio nella musica.

Lo abbiamo detto e ridetto, non solo cantanti famosi e privilegia­ti, ma musicisti, tecnici, fonici, direttori di produzione, tour manager, light designer, addetti alla sicurezza, manager, organizzat­ori di concerti, non finiremmo più a elencarli tutti… Il mondo della musica è fatto di persone appassiona­te, devote al lavoro, che non sanno cosa voglia dire riposare, che non conoscono orari, non conoscono sabati e domeniche, non conoscono festività, e che spesso hanno sacrificat­o la loro vita privata.

E quando è così, l’idea che tutta la musica si «spenga», si congeli fino a non si sa quando, è un colpo terribile, intorno crolla tutto, anche la stessa identità costruita con anni di sudore. Sull’incertezza economica che ne deriva, ho i brividi solo a pensarci e spero che presto si torni ad avere un po’ di sicurezze, per decine e decine di migliaia di persone che lavorano «a chiamata».

Oggi, piano piano, dobbiamo trovare il modo di ripartire. Dobbiamo farlo per quelle famiglie, ma anche per la gente normale, che senza musica non potrà mai vivere.

Anche io ho avuto un blocco totale a inizio marzo, spaventato, preoccupat­o, atterrito. Che senso aveva chiudere i lavori di un album cominciati mesi prima? Che senso aveva pubblicare nuova musica? La gente aveva altro a cui pensare, mi dicevo.

Però poi quella passione che la zia Franca aveva visto in me a 9 anni non la puoi fermare… E non potevo fermarmi neanche io. Quindi, grazie al lavoro di decine di lavoratori appassiona­ti, ho chiuso un album alla velocità della luce, pubblicato tutta la nuova musica che potevo per condivider­la con la gente, deciso di fare un concerto a porte chiuse nella mia città per lanciare, nel mio piccolo, un messaggio di ripartenza.

Il prossimo passo saranno i concerti di fronte alla gente in carne e ossa: questa estate suonerò qua e là, dove ci sarà possibilit­à. I miei compensi saranno devoluti al fondo per i lavoratori dello spettacolo di Music Innovation Hub e darò il mio contributo a supporto di tanti profession­isti in seria difficoltà.

Nei concerti sarò da solo sul palco con la mia chitarra, non ci sono le condizioni per far vedere alla gente degli spettacoli «completi», ma sarà importante salirci comunque su quel palco, e provare a far capire che la musica c’è sempre e che un modo per non spegnerla lo possiamo trovare.

C’è tanto da lavorare, profession­isti e istituzion­i perché si torni a una situazione di normalità, ma il momento arriverà.

La musica è come l’acqua, si infiltra, scava nuove strade, si assorbe, cambia forma, te la ritrovi dove non te la aspettavi. Ma non la fermi.

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