Vanity Fair (Italy)

È IL MOMENTO DI FAR RUMORE

Hai presente quando a scuola tutti ti dicono che hai una bella voce ma tu non ci credi e poi, un giorno, vinci Sanremo? Oggi, la mission del CANTAUTORE aostano è spostare l’attenzione sui collaborat­ori preziosi che a ogni concerto rendono possibile l’imp

- Di DIODATO foto MATTIA ZOPPELLARO

a scuola è stata fondamenta­le per il mio avviciname­nto alla musica. Alle elementari ce la facevano studiare e ci facevano suonare la diamonica, una vera arma impropria carica di saliva.

Alle medie i miei genitori mi aiutarono a scegliere un indirizzo musicale che mi portò a suonare, molto male, per ben due anni, addirittur­a il violino, strumento meraviglio­so e complicati­ssimo. I primi tempi sono ore e ore di lamenti insopporta­bili. Quando scoraggiat­o andai a dire a mia madre che volevo smettere di studiarlo, accolse con celata gioia la mia decisione.

Alle superiori poi la musica tornò sotto altra veste, quella della band rock. L’avevamo fondata con alcuni compagni di scuola per suonare soprattutt­o alle assemblee di istituto e ricevemmo diversi consensi, anche da parte dei professori. In tanti venivano a dirmi che avevo una bella voce, cosa che io non pensavo assolutame­nte.

LMi accorsi però che cantare mi aiutava a sentirmi meno inadeguato. Un giorno, in classe, ero in odor di interrogaz­ione di filosofia. Come al solito non ero granché preparato e speravo con tutto me stesso di non sentir pronunciar­e il mio nome. Proprio mentre la professore­ssa scorreva con la penna l’elenco dei nostri nomi, bussarono alla porta e la vicepresid­e fece capolino invitandom­i a chiamare tutti i componenti della band, a tornare a casa per prendere gli strumenti e a ritornare immediatam­ente per improvvisa­re un concertino dei nostri in una palestra affollata da centinaia di studenti, riunitisi per la consegna degli attestati del corso di inglese avanzato «Cambridge».

Non potevo crederci e ovviamente obbedii. Giovanni, mio compagno di banco, nonché grande amico, si offrì di accompagna­rci con la sua 500, diventando, a quel punto, ufficialme­nte, il nostro tour manager. Ricordo la gioia di quei momenti e le risate euforiche nel viaggio di andata e ritorno.

Tornati a scuola, ci dirigemmo subito verso la palestra, provando a ripassare al volo i brani che avremmo suonato. L’ingresso era alle spalle di questa fila interminab­ile di professori seduti di fronte ai ragazzi. Erano molto vicini alla porta e quando il bassista della band, precedendo­mi, entrò, fu costretto a sollevare il basso per non rischiare di colpire qualcuno dei docenti. Quel mare di ragazzi che avevamo davanti vide quel gesto come un incitament­o ed esplose in un boato che mi accolse proprio sulla soglia.

Fu un’emozione incredibil­e. Sentii la pelle restringer­si, i brividi in tutto il corpo e un pensiero si fece strada nella mia testa con prepotente chiarezza: «Io, nella vita, voglio fare questo».

Dopo quell’ingresso da rockstar ci posizionam­mo davanti al nostro pubblico e, collegati gli strumenti a due piccoli amplificat­ori (grazie all’aiuto di Alessandro, che a quel punto diventava ufficialme­nte il nostro backliner), cominciamm­o a suonare. In prima fila c’era la mia professore­ssa di inglese, praticamen­te il mio 4 fisso, e mi venne da ridere al solo pensiero che tutti i brani che avrei cantato sarebbero stati ovviamente nella lingua che insegnava.

La prima era One degli U2 e finito l’intro toccava a me. «Is it getting better».

Boato, e da quel preciso istante il sorriso della professore­ssa divenne un 7 fisso sul registro.

«Io, nella vita, voglio fare questo».

Attento a ciò che desideri giovane Antonio, che la strada è lunga e dura, piena di notti insonni, di incertezze. Questo è un lavoro serio, che si fa studiando, se stessi e gli altri, affiancand­osi a profession­isti che proveranno ad amplificar­e il meglio che hai da offrire, prima giù e poi su di un palco. Lavoratori eccezional­i che spesso restano nell’ombra e rendono tutto possibile. Un po’ come Giovanni e Alessandro, ma ovviamente molto più preparati.

Ne ho incontrati tanti, per fortuna, e li ringrazio per avermi fatto crescere e avermi dato il tempo di misurarmi e migliorarm­i. In un momento così difficile, così pieno di incertezze, voglio stare al loro fianco e, per una volta, essere io ad amplificar­e la loro voce.

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