Vanity Fair (Italy)

CANTERÒ A SAN SIRO

Ha rimandato di un anno il sogno di esibirsi nel suo stadio del cuore. Nel frattempo MAX PEZZALI ha creato con lo Stato Sociale una band di amici, la DPCM Squad, e un brano a sostegno dei lavoratori della musica

- Di MAX PEZZALI

Come dice l’amico Lodo Guenzi dello Stato Sociale, annunciare i primi due concerti della mia vita a San Siro ed essere costretto a rinviarli a causa di una pandemia globale è il più grande esempio di «poetica della sfiga degli 883» che si possa immaginare. Da una vita sognavo di cantare a San Siro, pensavo fosse il coronament­o perfetto di una carriera che mi ha portato in giro per i palasport di tutta Italia per quasi trent’anni.

Salire sul palco nello stadio in cui ho visto giocare tante partite della mia squadra del cuore e in cui ho sentito cantare tanti miei idoli, da Vasco a Ligabue, a Springstee­n, quest’ultimo purtroppo ascoltando­lo dal parcheggio nel lontano 1985… Anche lì, maledetta poetica della sfiga. Non divaghiamo. Sognavo San Siro ma è arrivata la pandemia. Cosa puoi fare, con chi te la prendi? Niente, è andata così. Pensi agli operatori sanitari che hanno dovuto affrontare il Mostro nelle corsie d’ospedale nei giorni dell’emergenza disperata, pensi alle persone intubate affamate d’ossigeno, pensi a tutti quelli che dopo la fase uno, due, dieci, cento non sanno se avranno ancora un lavoro e un posto in cui andare. E pensi alla tua gente, a quelli che per quasi trent’anni hanno costruito il tuo palco, hanno fatto suonare il tuo impianto, hanno messo in piedi il gioco di luci, schermi e colori che rende ogni concerto uno spettacolo indimentic­abile. Quelle stesse persone che oggi non possono lavorare, perché i concerti sono eventi collettivi basati sull’aggregazio­ne, servono a far cantare e ballare insieme, vicini vicini, stretti stretti. Il terreno di caccia preferito dal Mostro.

Perciò con lo Stato Sociale ci siamo inventati quest’idea, la DPCM Squad: una canzone con lo stesso sapore di quelle degli 883 degli anni ’90, ma filtrata e rielaborat­a dal cambio di prospettiv­a narrativa di quel genio di Lodo. E l’abbiamo cantata insieme a un gruppo di amici allo scopo di sostenere i lavoratori della musica e dei concerti, la nostra gente.

Nel frattempo sto finendo il nuovo album; in realtà sarebbe stato pronto a uscire già da aprile, ma poi la pandemia… Meglio così, ho più tempo per riascoltar­e i pezzi, modificarl­i, capire se quanto accaduto renda i testi privi di significat­o o se le canzoni abbiano invece la capacità di staccarsi dalla contingenz­a degli eventi e di avere una valenza propria indipenden­te dal Mostro.

Canterò a San Siro esattament­e un anno dopo, il 9 e il 10 luglio 2021. Ci saranno tutte le storie in musica che sono entrate nelle vite delle persone, e il pubblico le canterà con me, dalla prima all’ultima parola. Magari gli farò ascoltare qualche canzone del nuovo album, ma di sicuro tutti i pezzi storici ci saranno. E ci sarà la mia gente: i musicisti, i backliner, i rigger, i fonici, le ragazze che allestisco­no i camerini e quelli del catering, gli elettricis­ti, i tecnici delle luci e quelli delle proiezioni, i camionisti, i runner e i facchini. Ci saranno tutti. E mi piacerebbe che cantassimo insieme le parole di Una canzone come gli 883: «Tranquillo siam qui noi, filosofi playboy».

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