DELIZIE D’ALTA QUOTA
Sono quelle prodotte grazie alla tradizionale transumanza verso gli alpeggi. Origine di un latte crudo d’eccellenza e di mille suoi derivati
In Trentino l’alpeggio è rituale antico e sacro. A risalire dal fondovalle in quota, in cerca dei pascoli più soleggiati e dell’erba migliore, si era cominciato già nel Medioevo, quando le vacche venivano trasferite in montagna a giugno, per poi tornare a valle a fine settembre. Ma non è molto diverso ciò che accade adesso, se non nei numeri: 350 malghe diffuse un po’ in tutto il territorio, ma particolarmente concentrate nelle zone montane più estese – Lagorai, Adamello-Brenta, alta Val di Sole e Monte Baldo –, per una superficie a pascolo di circa 35.000 ettari e 8.500 animali. Vale a dire, la base della produzione casearia tradizionale che oggi come allora è un’eccellenza della regione. Ma le malghe non sono importanti solo per i prodotti tipici, visto che sono un patrimonio collettivo (la maggior parte è pubblica) e quindi degli avamposti a tutela della salute e della preservazione del territorio.
Venendo ai formaggi di malga più noti, di antica nobiltà e fama è il Vezzena (presidio Slow Food): prodotto sugli altipiani di Folgaria, Lavarone e Luserna, era tra i prediletti dell’imperatore Francesco Giuseppe, che tra quelle montagne amava trascorrere la villeggiatura. Fino alla Prima guerra mondiale era l’unico formaggio trentino utilizzato come condimento su zuppe e canederli grazie alla sua versatilità: saporito e leggermente piccante, la stagionatura dura fino a 24 mesi e si può consumare sia a tavola sia grattugiato. Altro rinomato presidio Slow Food è il Casolét della Val di Sole, che un tempo si produceva in autunno quando le mandrie erano già scese dagli alpeggi e le mungiture erano meno generose. Formaggio «di casa» per eccellenza, accompagnava i pasti invernali. Ora, grazie alla sua pasta molle e cruda, al sapore dolce e delicato, è la base ideale per torte salate e frittate. Dalle valli di Fiemme e Fassa, infine, arriva lo Spretz Tzaorì, ovvero, nella libera traduzione dal ladino negli anni ’70 (quando si passò dall’autoproduzione alla commercializzazione su più larga scala), il Puzzone di Moena, sempre sotto tutela di Carlo Petrini & Co. L’odore caratteristico – da cui il nome – è dovuto allo speciale trattamento delle «forte» durante la stagionatura, con fermentazioni che danno origine ad aromi e sapori particolarissimi. È il compagno ideale di un tagliere di speck, della polenta morbida o il condimento perfetto per gli gnocchi di patate.