MEMORIE OLFATTIVE
«La mia grande fortuna è di essere nato a Milano. A tavola, il milanese è curioso, vuole essere stupito, non vive visceralmente le sue tradizioni gastronomiche come accade in altre città d’Italia, che identificano in un piatto il loro stesso “onore”. Mia mamma era comasca, il papà di Lavis, in Val d’Adige, e nella mia infanzia ho trascorso lunghe vacanze in Trentino.
«Se c’è quindi un luogo dove sento affondare le mie radici è quello. Il mio primo grande ricordo olfattivo è legato alla polenta di mais, quella gialla e compatta, che “non corre” sul tagliere, ma rimane ferma, pronta per essere divisa con il filo. Nonno Ciro era pure lui di Lavis, nonna di Centa San Nicolò in Valsugana. Qui gli zii avevano un albergo, il Tre Novembre, data che ricordava la fine della Prima guerra mondiale, che lo zio aveva combattuto a fianco dell’Austria, perché fino al 1918 quelle erano terre austriache. Ricordo i paioli di rame nella cucina della trattoria, dove si trisava la polenta, e poi si “conciava” con formaggio, salame e funghi. Altro piatto di casa erano i canederli, o lo smacafam, “togli fame”, una sorta di torta salata con luganega e pancetta a base di grano saraceno. L’unica cosa che sapeva cucinare mio padre era invece la cotoletta, che però a casa chiamavamo Wiener Schnitzel. Aveva un peso specifico importante, perché cuoceva prima nel burro e poi friggeva nell’olio. Due i dolci memorabili: lo Zelten, immancabile a Natale, a base di frutta secca e canditi, e lo Strudel. Mia nonna era “mondiale” nel farlo. Era lungo e stracolmo di ripieno. Inorridisco quando mi offrono uno Strudel con la sfoglia alta e gonfia, così come davanti a una polenta non bella tosta. Oggi, l’alta cucina trentina ha qualche buon ambasciatore, come Alfio Ghezzi, stellato che fa il suo nel portare avanti certe tradizioni, pur sapendole rinnovare. Fra le Valli Giudicarie e la Val di Fassa, le due estremità del Trentino, c’è un mondo ricchissimo, con influenze da terre straniere, con Mòcheni, Cimbri e Ladini. Eppure, tutta questa varietà disponibile non è ancora così nota come meriterebbe. Anche il mondo del vino, che pure trova la sua punta di diamante e bandiera internazionale nel metodo classico del Trentodoc, avrebbe tanto da esprimere con i suoi bianchi eccezionali. Mi piacerebbe che un giorno ci fosse un ristorante di specialità trentine fuori dai confini regionali, dove poter assaporare trote e salmerini dalle carni pregiate, formaggi a latte crudo, salumi e vini della mia terra. Magari a Milano, perché no. C’è un bellissimo futuro lì davanti. Basta saperlo vedere».