Vanity Fair (Italy)

Luna di miele

- UN ROMANZO PER VANITY FAIR di ESHKOL NEVO

Ronen Amir, 29 anni, è rimasto ucciso in Bolivia mentre era in luna di miele. La sua vedova, Maya Amir, è in lutto. Quando Omri, un giovane che li ha incontrati durante il viaggio, va a porgerle le sue condoglian­ze, Maya gli chiede di aspettarla in un luogo isolato, dove gli rivela che la morte di Ronen non è stata un incidente, come riportato sul giornale. A suo dire, Ronen ha intenziona­lmente sterzato buttandosi nel baratro. Più Maya entra nei dettagli, più Omri nutre dubbi sulla sua versione. D’altro canto è innegabilm­ente attratto da lei. I due fanno l’amore e poi Maya decide di non tornare a casa. Trovano rifugio per la notte da una vecchia amica di Maya. Omri però sente la conversazi­one tra l’amica e il marito, in cui lei dice di Maya: «Strano che non sia triste mentre suo marito è appena morto» e avvisa che «domattina leva le tende».

i solito non ricordo i sogni. Anche il sogno della notte nella casa di fango doveva avere altre parti. In quella che ricordo, Liori si perdeva in un bosco. Mi chiamava, papà! Papà! Io mi spostavo su un monociclo e cercavo di identifica­re dalla voce dove diavolo si trovava, nel mezzo della foschia densa che era calata sul bosco. Ero preoccupat­o per lei. Follemente preoccupat­o. Ma a un certo punto la foschia cominciava ad avvolgermi. Mi carezzava gentilment­e. Era difficile per me lasciare il monociclo e abbandonar­mi alle sue carezze. Voglio dire a quelle di Maya. Voglio dire che mi sono svegliato per le carezze vere di Maya, la sua mano si muoveva sotto la mia maglietta,

DContinua il giallo in 13 puntate, scritto in esclusiva per i nostri lettori. Ecco il decimo capitolo: buona lettura con infinita delicatezz­a, come se conoscesse il mio punto della vergogna e lo volesse curare a forza di carezze. Poi la sua mano mi ha sfilato la maglietta. Lentamente. Mi ha baciato sul petto. E poi più in basso. E ancora più in basso.

Orna me lo prendeva in bocca soltanto in occasione di compleanni e anniversar­i di matrimonio. Solo se glielo chiedevo espressame­nte. E sempre, qualche secondo prima di venire, dovevo ricordarmi di spostarle la testa. Che non succedesse, per carità.

Ho provato a spostare anche la testa di Maya.

Sto venendo. Lei non ha comunque spostato la testa. Così, a trentanove anni, in un paese talmente minuscolo da non comparire nemmeno su Google maps, mentre i primi raggi del sole filtravano attraverso le imposte, ho conosciuto per la prima volta questo piacere supremo. Che è quasi un dolore. Quando ho aperto gli occhi ero così grato e sereno, che le ho raccontato della conversazi­one sentita attraverso il muro, come fosse un aneddoto buffo.

Lei l’ha trovato un po’ meno buffo.

Vieni, si è sollevata di scatto dal materasso. Si è pulita la bocca e ha deciso, ce ne andiamo.

Ma…

Potrebbe telefonare ai fratelli di mio marito.

Mi puoi spiegare perché sei tanto…?

Le domande più tardi, Omri.

*

La mia auto non partiva.

Ho cominciato a spiegare a Maya che da quando avevo divorziato non avevo avuto tempo di passare dal

meccanico per un controllo.

È uscita dal veicolo a metà del racconto. Ha aperto il cofano. Si è chinata. Poi ha fatto con la mano il cenno di riavviare. È tornata al suo posto e ha detto, parti.

Mia madre era segretaria in un garage, ha risposto alla domanda non posta. Passavo con lei tutte le vacanze estive. *

Adesso spiegami cosa succede, ho preteso quando abbiamo imboccato la strada asfaltata.

Prima un caffè, ha risposto.

Perché un caffè?

Non ho avuto nemmeno il tempo di lavarmi i denti dopo di te, ha sorriso, e poi devo pensare dove si va.

A casa mia, ho proposto. Senza rifletterc­i.

Non sono sicura che sia una buona idea, ha detto. Non c’è lì tua figlia?

Arriverà solo nel fine settimana. Ora è dalla madre. Ah.

Senti – l’ho avvisata – da me c’è un macello, non ho ancora avuto il tempo di montare i mobili dell’Ikea, cioè, non sono ancora riuscito a trovare la forza di farlo, e il lavandino è ingombro di piatti sporchi, sai com’è un uomo che vive da solo, ma se non ti dà fastidio…

Non mi dà nessun fastidio, ha risposto. Ma dal tono trapelava ancora una certa esitazione.

*

Meglio se resto in macchina. Ha detto quando ci siamo fermati alla stazione di servizio.

Invece di chiederle «perché?» mi sono limitato a un «quanto zucchero?». Solo quando il caffè era pronto, mentre allungavo i soldi al cassiere, mi è sorto il dubbio: le chiavi erano rimaste inserite nel quadro.

Ho lanciato un’occhiata alla macchina e l’ho vista mentre allungava la gamba e passava al sedile del guidatore.

Ho abbrancato il caffè dal bancone e sono partito di corsa.

Mentre correvo, il caffè mi ha schizzato la maglietta. Ho imprecato. Correvo e imprecavo. Ho fatto in tempo ad aprire la portiera e infilarmi nel posto davanti prima che partisse.

Cosa ti è preso? Ho chiesto. Nel mio tono più controllat­o.

E ho pensato: gatta randagia. E ho pensato: è esattament­e il suo stile.

È rimasta in silenzio, con gli occhi fissi sulle All Star. Ho trattenuto il violento impulso di mollarle un ceffone. Alla fine ha sollevato due occhi indifesi e ha detto: mi hai aiutato tanto, bell’uomo, ma credo davvero che da qui in poi sia meglio se proseguo da sola.

Ma ti pare? Ho incrociato le braccia davanti al petto. Nemmeno ti immagini in che guaio ti stai cacciando, Omri.

E se mi volessi cacciare nei guai?

Perché dovresti voler…

Vivo come se fossi morto da quando ho divorziato, Maya. Di giorno lavoro come un automa. Negli studi di

Tutti i capitoli di Luna di miele registrazi­one. Di notte vado a vedere le partite di calcio al bar. Insieme a tutti i muratori rumeni. Perché il volume della television­e in una casa in cui non ci sono una donna e una bambina rimbomba troppo.

Ti capisco, Omri.

No, non puoi capire. Non puoi capire cosa significa se ti chiamano dalla scuola di tua figlia per dirti che piange fin dalla prima ora, e tu chiedi alla segretaria: perché? E segue il silenzio perché è chiaro a entrambi il motivo; e non hai idea di com’è alzarsi la mattina e andare in camera sua per svegliarla con tanti baci e grattini sulla schiena, solo per ricordarti che non c’è, secondo quel cazzo di accordo non è il suo giorno con te.

Suona davvero…

E non mi va di fare niente. Nemmeno i seminari che mi sono inventato io. Le uniche due volte in questi sei mesi in cui ho avuto voglia di qualcosa, Maya, in cui ho sentito il cuore ritornare a battere, è stato quando sei venuta nella mia camera in Bolivia e quando ti ho vista pedalare verso il monumento.

Ok.

Perciò per favore tornatene al tuo sedile. Andiamo a casa mia. E lungo la strada mi spieghi che cazzo sta succedendo. Siamo d’accordo?

*

Anche adesso che ci ripenso, non sono sicuro che tutta la scena alla stazione di servizio non sia stata una manovra per darmi l’illusione che ero io a decidere (avrebbe potuto passare al posto del guidatore mentre aspettavo il caffè, e andarsene. Aveva tempo a sufficienz­a). O forse Maya ha davvero cercato, per l’ultima volta, di impedirmi di precipitar­e con lei nell’abisso?

*

Di solito in autostrada tengo i 130, 140 all’ora. Dopo il divorzio certe notti mi mettevo in macchina, prendevo l’autostrada e tiravo fino a 170. Che ci provassero, a fermarmi.

Adesso guidavo a 80 massimo. Per via della foschia. Pesante come nel sogno.

Maya ha cominciato a parlare qualche minuto dopo che eravamo entrati in autostrada.

Parlava in prima persona. Ho pensato: prima persona, significa che ho passato l’esame.

Non ce l’ho fatta a tornare alla casa di famiglia, ha spiegato, perché i suoi fratelli erano in piedi davanti alla porta. A braccia conserte. Come due mafiosi. Mi aspettavan­o. Ma perché dovrebbero…?

Ieri, appena prima che tu arrivassi, mi hanno mostrato le e-mail che Ronen gli ha spedito dalla Bolivia.

Gli ha spedito delle e-mail?

Anch’io non ci credevo all’inizio. Quando ne aveva avuto il tempo? Mi hanno detto: siediti, era un ordine con la coda ritta minacciosa, e le hanno aperte sul computer. Mi si sono piazzati a destra e a sinistra, come due guardie, mentre leggevo. Come per controllar­e che io non scappassi dopo aver visto cosa c’era scritto.

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