L’INFERNO DELLA CELEBRITÀ
opo fiori e onori, Oscar e copertine lecca-lecca, dopo fiumi di inchiostro versati, dopo infuocati entusiasmi, si riesce davvero a scendere nell’inferno della celebrità, finire prima del tempo giù dalla carriera e trasformarsi in uno scarto umano? Sarà pure «una proiezione dell’immaginario collettivo», ma quando il diavolo creò la celebrità non pensava davvero di mettere in moto la droga più distruttiva e il fenomeno sociale più buio e insondabile. Soprattutto cannibalesco. Perché è tipico dello star-system essere onnivoro: tutto ciò che riguarda i suoi personaggi gli appartiene, tutto fa parte della sua scena e del suo mito. Johnny Depp non è una anomalia tossico-porcaiola dello showbiz ma l’ennesimo prodotto «made in Hollywood», erede della sordida tradizione che vede i divi del cinema rovinarsi. Ecco il mitico Edward mani di forbice sbattuto a 57 anni in un tribunale di Londra diventare il protagonista del suo film più pulp e horror. Alcune sequenze. Picchia la moglie, l’attrice Ambert Heard, e con i cocci di una bottiglia di vodka si mozza un dito: con il sangue che sgorga imbratta tutte le pareti della casa, disegnando anche un membro alla Rocco Siffredi.
Bollata Amber come una «spogliarellista da 50 centesimi», Depp prova a soffocarla contro un tavolo da ping-pong, poi contro un frigorifero; quindi cambia elettrodomestico e strategia e al giudice ammette tranquillamente di aver provato a cucinare nel microonde il cagnolino della moglie. Ma il climax dello show arriva con la scoperta del ménage à trois di Amber con Cara Delevingne e il billionaire Elon
DMusk: Depp chiama il fondatore della Tesla, «Mollusk». In una serie di messaggi inviati nell’agosto del 2016 a Christian Carino, l’ex fidanzato di Lady Gaga, Depp minaccia semplicemente di evirarlo: poi Depp delira in un whatsapp a un amico: «Bruciamo la strega», scrive insieme ad altre ignominie. A far inorridire i presenti in aula è stato soprattutto il racconto di quanto fatto da Amber Heard contro l’ex marito, colpevole di essere arrivato in ritardo alla festa del 30esimo compleanno dell’attrice: «Ha defecato nel nostro letto e poi incolpato il nostro cane». Il processo, mejo di Netflix e Amazon Prime messi insieme, continua, ma la fine è già arrivata per colui che negli anni ’90 divenne per la Generazione X la massima icona di Hollywood, in compagnia di Brad Pitt. Ma Johnny era un «pin-up» speciale, un rubacuori adolescente, certo, ma di un fascino diverso; un «poster boy» riluttante che, attraverso la scelta dei suoi film, ha rivoluzionato la rappresentazione della mascolinità.
Ha rifiutato successi come Speed e Intervista con il vampiro, preferendo girare il pulpesco Ed Wood di Tim Burton e la fiaba-horror dell’uomo-bambino con lame invece di dita in Edward mani di forbice. Una volta che decise di diventare «star di Hollywood», Depp inorridì i dirigenti della Disney interpretando il pirata Jack Sparrow nei panni di un maledetto alla Keith Richards. Malgrado i continui rutti, il film ottenne un successo colossale. Ma il Johnny Depp che si vestiva da Jack Sparrow e visitava gli ospedali per bambini, mai per pubblicità ma perché sua figlia era quasi morta quando era piccola, se n’è andato dietro un bicchiere di vodka. Quando hai 23 anni, puoi essere arrabbiato, puoi essere un drogato, un ubriaco e puoi essere sexy. Ma quando sei più grande, diventa grottesco. Ecco, Johnny Depp aveva due soluzioni: morire giovane come James Dean o invecchiare come Al Pacino, non diventare una brutta versione di Elvis Presley. Ora in pista, di quella generazione, è rimasto solo Brad Pitt, speriamo che continui a preferire un piatto di cacio e pepe a un bicchiere di vodka.
qui ignoto, finché del vaffa lui era il mittente e non il destinatario. Ma non è la nemesi l’aspetto più interessante. Lo è già di più il disarmato tentativo di difesa dell’ex ministro, incapace di schiodarsi dal punto di partenza:
filosofo spagnolo autore nel 1930 della Ribellione delle masse. Se ne trova una bella edizione del catalogo Se. Qualora l’impegno fosse gravoso, gli si viene incontro. Pagina 98, capitolo VIII, «Perché le masse intervengono in ogni cosa e perché intervengono solo violentemente». Pagina 102, «appare in Europa un tipo d’uomo che non vuole dar ragione e non vuole aver ragione, semplicemente impone con risolutezza le proprie opinioni». Quindi, pagina 103, «il nuovo consiste dunque nel farla finita con le discussioni». Infine, pagina 104, «la barbarie è soprattutto tendenza alla dissociazione» preconcetta e ostile dalle idee altrui. Il suo problema, caro Toninelli, non è la violenza, è l’autolesionismo.