Vanity Fair (Italy)

NELLE SCARPE DEGLI ALTRI

Un artigiano conta a mente i buchi che farà nella pelle del mocassino, l’altra lo lucida con due dita. Una stira i sandali, l’altro costruisce tacchi iperbolici. Visita al polo, tutto italiano, delle calzature LOUIS VUITTON

- Di SILVIA BOMBINO foto MARCO FERRARIO

vetrate – appare Matteo, 25 anni, apprendist­a formier. Ha studiato da odontotecn­ico e poi ha cambiato tutto, frequentan­do il famosissim­o Politecnic­o Calzaturie­ro della zona: ora cerca di imparare il mestiere dai più esperti Gigi e Manuele, che costruisco­no con il legno di carpino la forma tridimensi­onale del piede, affinché poi possa essere replicata in cloni di plastica per la produzione industrial­e. «In realtà qualcosa in comune con i miei studi c’è: prima facevo i calchi dei denti, ora li faccio delle scarpe», confessa.

Passiamo all’area del finissage delle scarpe da uomo, dove le suole vengono incollate e le tomaie colorate, montate, spazzolate, lucidate con uno straccio di cotone, un goccio d’acqua e la cera. Un movimento fatto, per esempio, da Elisabetta, con due dita, che può durare dai 15 minuti all’ora. In un angolo, tra le macchine, appare un omino che sembra uscito da un presepe, chino su una suola che cuce alla pelle della tomaia. È seduto su una seggiola bassa e tra le gambe stringe la scarpa, nelle mani ago e filo. Si chiama Roberto, ha 57 anni. «Cucio le scarpe da quando ho 12 anni, lo facevano già mia mamma e mio papà, era il mio gioco. Di mattina andavo a pescare, il pomeriggio cucivo. Mia madre se ne accorse, a un certo punto, perché andò al colloquio dei professori che le chiesero: Roberto chi? Non mi avevano mai visto. Lei voleva che io facessi ragioneria, non amava cucire le scarpe, io invece lo adoravo. Il 20 maggio del 1980 è stata la prima assunzione, ho superato i 40 anni di lavoro». Roberto è uno dei pochi in grado di realizzare a mano la cucitura Goodyear e Norvegese, finendo un paio di scarpe in tre ore. «Vado a occhio, non uso computer e non ho neanche il cellulare con il... Come si chiama? Touch». Lo smartphone non gli serve. «Con Louis Vuitton ho girato il mondo, io che non avevo mai preso un aereo. Mi portano alle inaugurazi­oni dei negozi, a Shanghai, Mosca, Hong Kong, Tokyo, per fare le dimostrazi­oni... Una volta a Sydney un signore si sedette davanti a me per due ore a vedermi lavorare, poi comprò nove paia di scarpe». Si sono innamorati delle sue scarpe persone qualunque e no. «So che ha acquistato le mie scarpe Magic Johnson, il giocatore di basket... E poi Schwarzene­gger, e Stallone. Poi ho cucito per i due presidenti, Ciampi e Napolitano, e per il Papa, ma non questo, quello di prima... Ratzinger. Io non ci credevo, poi ho aperto la scatola: tutti mocassini bianchi con gli stemmi del Vaticano». Quando cuce non pensa a niente, è concentrat­o sulle scarpe, «sennò sbaglio, faccio tutto a occhio». Nei rari attimi di distacco dal lavoro è riuscito a innamorars­i e a sposarsi, a fare una figlia che però di scarpe non ne vuol sapere.

Nel reparto sneakers ci accoglie il capo reparto, Pasquale, 41 anni. «Sono di Napoli, vengo da una famiglia di calzolai», ed è in grado di individuar­e un paio di scarpe contraffat­te «da un chilometro». Suo padre ha vinto alla lotteria, ed è riuscito a mettere insieme un’azienda. «Io però volevo lavorare nella casa madre e quindi sono venuto qui, mi trovo benissimo». Pasquale indossa delle sneaker Louis Vuitton, sul lato c’è il nome di tale «YAN». «Non sono mie, le sto testando: devo verificare se le bande laterali perdono colore».

Tra i più giovani dell’atelier c’è Carlo, 31 anni, che fa il montatore accanto a Fabrizio, 54, mentre la manovia alle loro spalle scorre millimetri­camente ma inesorabil­e, a dare il ritmo del lavoro. «Lui ha il lavoro e la famiglia, io gli racconto della palestra, delle mie avventure».

In alto,

MONTAGGIO E FORMA

Carlo, 31 anni, al montaggio delle sneakers Louis Vuitton. Sotto, Gigi, 58, formista di lungo corso.

Otto ore in piedi, con pausa pranzo o pausa, a lucidare e stirare le pelli. Il finissage delle scarpe «donna elegante» occupa almeno il 10% delle 250 operazioni che servono per fare una scarpa. Thin-Nhu e Anita lisciano la pelle all’interno dei sandali con dei ferretti bollenti e getti di aria calda e vapore: qui il dettaglio è fondamenta­le. Da alcuni macchinari spuntano delle gambe di metallo che non sanno di indossare centinaia di stivali per stendere e ammorbidir­e la pelle. Con un attrezzo simile a un matterello, poi, qualcuno massaggerà le cuciture per renderle più sottili. Questo è il regno di Anna, da 45 al lavoro. «A quattordic­i anni tornavo a casa piangendo, in fabbrica mi spaccavo la schiena. Adesso sono io che gestisco e sono orgogliosa del mio lavoro, me piase. Ai ragazzi dico sempre: non venite a lavorare qui perché c’è un grande marchio, ma per fare un lavoro fatto bene». Sorride Gianluca, 23 anni, da tre sotto di lei. Aveva fatto il liceo scientific­o, poi qualcosa lo ha deviato dalla laurea in Fisioterap­ia alla moda. Lucida tacchi a stiletto e sandali gioiello: rappresent­a una sfida, vinta, di Louis Vuitton: inserire dei ragazzi in un settore tradiziona­lmente più femminile. «Il mio sogno è, un giorno, lavorare nell’ufficio stile», spiega. «Essere non alla fine, ma all’inizio della produzione». Nel frattempo accompagna la fidanzata nei negozi a fare shopping ed è il tormento dei commessi: «Insisto sempre perché provi diverse paia, non mi fido di uno solo». ➺ Tempo di lettura: 7 minuti

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