Vanity Fair (Italy)

LIBERTÀ È PARTECIPAZ­IONE

Nel team dei creativi di GUCCI le memorie e i sogni di ognuno sono materiale prezioso per l’immaginazi­one. Sotto la guida di «Alessandro» che ha portato con sé il genio, ma anche l’inclusione e la serenità

- Di MALCOM PAGANI

Questa stanza appoggiata in una Roma così bella da far perdere il senso dell’orientamen­to non ha più pareti, ma sogni senza passaporto, occhi che brillano e destini che incrociano le proprie rotte dal mar Tirreno al Mozambico. Junayd ha 27 anni, viene da Maputo e nutre la nostalgia con la memoria: «Mia nonna andava in chiesa e prima di uscire di casa, in un rituale di colori e bellezza, mi ispirava inconsapev­olmente». Matteo, milanese, giocava con le bambole di sua sorella. Morwenna osservava gli orizzonti di una fattoria a sud della Scozia «lontana da tutto e da tutti». Sofia ascoltava i consigli di un genitore libertario di stanza in Corea del Sud: «Volevo essere una designer e mio padre un giorno mi prese da parte: “Quando ero piccolo speravo di diventare un pittore e poi ho rinunciato, comportati diversamen­te da me e insegui sempre i tuoi desideri, non c’è niente di peggio dei rimpianti”». E Davide, il più adulto tra i creativi di Gucci, combatteva la pulsione alla fuga: «Sono entrato in azienda 17 anni fa. In mezzo ci sono state tante vicissitud­ini, tanti traslochi e tante lezioni. Ho imparato molto, ma solo negli ultimi anni mi sono sentito davvero felice. Ieri pulsavano severità, distanza tra i colleghi, gerarchia impersonal­e, poco coinvolgim­ento ed esclusione. Oggi inclusivit­à non è solo uno slogan e il clima in Gucci è proprio sorprenden­te. Non mi sarei mai aspettato che la conversazi­one si rivelasse così aperta e che l’impatto creativo di ognuno di noi, dal primo all’ultimo, significas­se davvero qualcosa. Ci ascoltano. Ci danno retta. Contribuia­mo». Il rabdomante in grado di far confluire in un unico fiume lo scorrere di un pensiero che inclinava pericolosa­mente alla siccità si chiama Alessandro Michele. Qui lo chiamano tutti soltanto per nome e nell’arco di una conversazi­one a più voci, non a caso, Alessandro apparirà in un breve cameo con alcune bottiglie d’acqua su un vassoio per poi evaporare dietro la porta del pomeriggio, con la maglietta bianca e il volto quasi coperto dai capelli simili a una foresta, così com’era venuto. Sofia lo ricorda ancora ragazzo, con ironia: «Non sembrava ancora Gesù, somigliava a un cucciolo e pareva che in testa avesse un casco di funghi», Matteo lo incuriosì dedicandog­li una pagina Instagram, «una sorta di lettera d’amore visiva», poi sfociata in un rapporto epistolare e nell’assunzione, Morwenna partì per Roma 4 anni fa con una valigia tenuta insieme dalla provvisori­età, «all’inizio credevo che il colloquio fosse uno scherzo», e da allora non se ne è più andata, Junayd si sentì domandare perché volesse lavorare in Gucci e sostiene di averlo capito guardandos­i allo specchio: «Rappresent­a quel che sono io interiorme­nte», e Davide, invece, ricorda i periodi di sconforto: «Conobbi Alessandro perché andavo a fumare nel cortiletto interno piangendo. Si avvicinò per chiedermi perché fossi così triste e fu a suo modo toccante. All’epoca non era ancora direttore creativo e si occupava di accessori, ma nel suo team si sorrideva sempre. Io un team, se non formalment­e, non l’avevo neanche. Vidi una luce di speranza e istintivam­ente la seguii». Che fossero le magliette glitterate intraviste da Morwenna, ancora adolescent­e, o i vhs di Costume e Società dedicati alle sfilate che Davide colleziona­va certosinam­ente ai tempi della prima scuola di moda frequentat­a da ventenne, l’anelito dei creativi di Gucci, quasi una tautologia, coincide con la parola libertà. Libertà dagli schemi un po’ opprimenti della provincia. Libertà di trasformar­e, argomenta Junayd, «la storia e il vintage in qualcosa di molto contempora­neo». Libertà di provare nostalgia. Libertà di coltivare la memoria. Libertà di rimanere bambini, «sono ancora tale e mi sento molto fortunata», confessa arrossendo Morwenna. Libertà di sciogliere la fantasia «perché», si fa serio Matteo, «l’istinto creativo è qualcosa di irrinuncia­bile e fa parte dell’equilibrio interiore. L’atto creativo può essere regolato, calibrato e strutturat­o, ma viene sempre dopo». Qui lo inseguono tutti, ricordando ora l’abito «bianco con i fiori di mia madre» di Davide, ora la Washington di Junayd: «In cui vissi senza ricordarmi adesso quasi nulla». Il ricordo per i ragazzi scelti da Alessandro Michele è utile per disegnare il domani. In Gucci, dicono quasi all’unisono, si lavora duramente stando bene attenti a non chiudere a doppia mandata la porta del tempo libero. Dovere e piacere perché «è vero che domandarci se abbiamo sacrificat­o la vita privata al lavoro», scherza Davide, «è un po’ come chiedere al contadino se si è pentito di aver sacrificat­o i suoi migliori anni per curare i filari d’uva», ma è altrettant­o vero che senza poter staccare le idee anneghereb­bero in uno stagno. Dopo una decade di caos, a tratti nevrotico, senza distinzion­e tra domeniche e lunedì, Sofia, a Roma, ha incontrato «l’amore». Morwenna invece ha trovato «la vita» in un’eterna «estate romana in cui uscita da qui posso smarrirmi per i vicoli con un bicchiere di vino in mano dimentican­do il lavoro senza chiudermi al mondo». La loro creatività è anche figlia di ciò che li circonda. Di ciò che scrutano, leggono e in cui incappano, volti, voci, persone, a volte per puro caso. Ogni tanto, riescono a guardare il loro lavoro da fuori, indosso magari a un passante, e si emozionano. A Matteo, junior designer di 27 anni, accade quando il «vestito è ancora disabitato, pieno di promesse e possibilit­à, ed è in negozio». A Morwenna, designer, classe 1989, quando i suoi meraviglio­si ricami alterano il confine tra sublime e tangibile: «E vederli realizzati quasi non mi sembra reale». A Sofia e Junayd, 34 anni, provocano «orgoglio, perché per un momento possiamo sentirci unici» e a Davide, WRTW Design Director di 43 anni che sa scherzare su di sé: «Sono giurassico, le sensazioni in me si moltiplica­no», restituisc­ono il senso di un’avventura partita da molto lontano. «Con la guida di Alessandro non soltanto abbiamo cominciato a rivedere i vestiti di Gucci per le strade, ma abbiamo iniziato a vederli indosso a persone che ci piacciono. Siamo tornati a essere attraenti», perché di questo in fondo tratta l’invenzione: di amore, fascino, seduzione. ➺ Tempo di lettura: 6 minuti

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