Una tigre A HOLLYWOOD
Michelle Yeoh è la protagonista del premiatissimo Everything Everywhere All At Once. Ma il lavoro del cuore è un altro
Michelle Yeoh ha aspettato una vita per vincere il primo Premio Oscar. L’ha conquistato a 60 anni e al quarantunesimo film. Everything
Everywhere All At Once di Daniel Kwan e Daniel Scheinert è così perfetto che alla fine si è meritato altre sei statuette. Dal 26/9 su Paramount+, è un family drama ambientato in folli multiversi e ha aperto all’attrice di origini malesi le porte di Hollywood per altri riconoscimenti, come il Women in Motion Award al Festival di Cannes.
Ha mai immaginato che il personaggio di Evelyn le avrebbe potuto cambiare la vita?
«No. Ma ho capito subito che la sceneggiatura era speciale, emozionante e dinamica: una summa di tutte le esperienze che avevo fatto al cinema».
Come le è stato presentato il fatto che avrebbe interpretato una donna della working class esperta di arti marziali e di acrobazie?
«I registi mi hanno detto che avevano pensato a una storia di famiglia dentro un incrocio tra Fight Club e Matrix. Sembrava talmente folle da essere fuori dal mondo, ma la sincerità dell’amore e del dolore provato dai protagonisti hanno reso tutto credibile».
Evelyn è una persona ordinaria a cui accadono eventi straordinari. A chi si è ispirata?
«A quelle donne asiatiche che migrano negli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore».
Riesce a trovarlo, Evelyn?
«Più o meno. Non è vero che l’erba del vicino è sempre più verde, infatti questo viaggio attraverso tutti gli universi esistenti la aiuta a riscoprire il senso di casa. Si affanna a cercare una ragione di vita, ma poi capisce di averla sotto gli occhi, di poter essere felice con quello che ha».
Qual è il ricordo più prezioso della sua carriera?
«Risale a oltre 20 anni fa ed è l’amore immediato per La tigre e il dragone: durante la première a Cannes i critici hanno fatto una standing ovation a metà film. Non lo dimenticherò mai».
Jamie Lee Curtis, con lei in Everything Everywhere All At Once, ha detto in passato che il tabù sull’età a Hollywood sta per essere scardinato. È d’accordo?
«Sarebbe anche ora: le attrici a 30 anni si sentono dire che sono “geriatriche” e a me pare assurdo. La pandemia ci ha costretto a riflettere anche su questo, per fortuna, e ha funzionato come un tasto “reset” sulle vecchie abitudini. Sarebbe da sciocchi ripetere gli stessi meccanismi».
A che punto siamo, invece, con l’inclusività e la rappresentazione?
«Un film con un cast tutto orientale non si faceva da tantissimo tempo, poi è arrivato Crazy & Rich, con un piccolo budget e tanta buona volontà, ha puntato i riflettori su un’intera comunità di artisti. Vedendo quel progetto, Ke Huy Quan, che interpreta mio marito in Everything Everywhere All At Once, è tornato sulle scene dopo 20 anni d’inattività».