ATTIVISMO: LA PIAZZA È ONLINE
ANDREA COLAMEDICI E MAURA GANCITANO
Filosofi e scrittori, sono i fondatori di Tlon, un progetto di divulgazione culturale. Pubblicano libri, organizzano incontri nelle scuole e scrivono una rubrica fissa su Vanity Fair: Prendila con filosofia.
Nel suo libro La forza della nonviolenza Judith Butler, una delle filosofe più importanti del nostro tempo, ha raccontato la performance dell’uomo in piedi di piazza Taksim, a Istanbul, del giugno 2013. Il governo turco aveva risposto alle proteste crescenti ponendo il divieto di riunirsi e parlare nello spazio pubblico, e il coreografo Erdem Gunduz scelse di performare l’obbedienza all’ordinanza. Si posizionò alle 21 nel mezzo della piazza simbolo della rivolta, stracolma di agenti di polizia e blindati; restando immobile fissò lo sguardo sul ritratto che campeggiava al centro della piazza: quello di Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Turchia moderna, simbolo dei valori di una società giusta, senza classi e disparità. Da lì non si mosse per quasi sei ore, e intorno a lui centinaia di persone si avvicinarono, tenendosi a debita distanza per non incorrere nel divieto di assembramento, e cominciarono anche loro a fissare il ritratto immobili. Nel frattempo, davanti ai piedi di Gunduz altre persone offrivano cibo, fiori e simboli di solidarietà. Nessuno parlò: misero in scena la perfetta aderenza al regime, esibendo davanti agli smartphone la propria disobbediente obbedienza. L’attivismo trovò nel digitale in quel caso – e nei mesi a venire in molti altri – un’estensione formidabile: «Questa performance, nell’azione di obbedire al divieto, lo sfidava, mettendo in scena l’intricata posizione del soggetto soggiogato, che veniva allo stesso tempo esposto e dunque opposto all’assoggettamento stesso», spiega Butler. Nei dieci anni che ci separano da quella protesta ibrida, l’attivismo ha trovato sempre più spesso nel virtuale una sponda eccellente: ha permesso a storie e persone altrimenti invisibili di essere conosciute e condivise, garantendo a eventi cruciali la necessaria mobilitazione collettiva – da Black Lives Matter al Me Too – trasformando la rabbia in azioni concrete ed efficaci. Le piattaforme digitali si sono rivelate strumenti eccezionali per propagare le proteste, svolgendo un ruolo cruciale nel generare informazioni di valore intorno a temi complessi, e hanno consentito a persone marginalizzate di condividere la propria esperienza, sensibilizzando un pubblico più vasto. I social network sono stati il prolungamento di molte proteste ma, va detto, di per sé non sono affatto uno spazio sano di dibattito. La loro architettura non è pensata per il conflitto equilibrato ma per lo scontro insalubre. Non sono costruiti per confrontarsi ma per capitalizzare sull’attenzione degli utenti. Eppure, malgrado siano proprietà private finalizzate al profitto, possono diventare il più possibile spazi comuni: dobbiamo prenderceli davvero. È questa la grande sfida del nuovo attivismo digitale: sviluppare sempre più consapevolezza della struttura delle piazze online, imparando a usarle senza farsi usare. Lo spazio diventa pubblico, infatti, quando le persone si prendono le città animandone e organizzandone le architetture, e questo si può fare tanto con le piazze fisiche che con quelle virtuali. Basta averne la forza e il coraggio. Il futuro dell’attivismo digitale passa da quanto impareremo a usare gli spazi digitali come utili ponti da attraversare per portarci altrove e non come luoghi in cui rinchiudersi per fuggire alla complessità del mondo. Come umani, infatti, abbiamo un bisogno vitale degli altri. Per dirla ancora con Butler: «Se ciascuno di noi ha il diritto di sopravvivere, di prosperare, nonché di vivere una buona vita, questa vita può essere vissuta solo con gli altri, anzi: senza gli altri, il vivere non sarebbe una vita». Online e offline.
Sulla stessa barca
I governi europei devono fare di più per accogliere i migranti che attraversano il Mediterraneo: lo ha ripetuto Papa Francesco affermando che «chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza». Ogni giorno centinaia di persone si mettono in viaggio per raggiungere l’europa. Sognano una vita migliore, ma spesso finiscono nelle mani dei trafficanti o in centri di detenzione. Chi pensa ai migranti come a un peso dovrebbe provare a raccoglierli dal mare. E ad ascoltare le loro storie. Come abbiamo fatto noi nel 2013: Silvia Nucini e il fotografo Sergio Ramazzotti si sono imbarcati nel corso dell’operazione militare umanitaria Mare Nostrum dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre di quell’anno (368 morti) per vedere com’è vissuta questa fuga verso la speranza.