Vanity Fair (Italy)

Due ruote, cinque direttori, 100 feste a Casa Vanity

- daniela narducci, managing editor

All’inizio Vanity Fair era una casa, non per modo di dire: in via Leopardi a Milano, avevo io le chiavi. C’erano anche una scala a chiocciola e la doccia. «Così chi deve andare a un evento non passa da casa», diceva il primo direttore, Marisa Deimichei. Prima di uscire con il numero 1 ci sono voluti 19 mesi, quasi la gestazione di un elefante. Ero responsabi­le della segreteria, ma all’inizio c’ero solo io e facevo un po’ di tutto. Il primissimo appartamen­to era un po’ tristanzuo­lo e quando erano attesi in visita l’editore Giampaolo Grandi e il proprietar­io Jonathan Newhouse, dall’america, lei mi mandava a prendere dei fiori per migliorare l’ambiente. Il momento più gioioso di questi 20 anni è stata proprio l’uscita del primo numero: in un baretto qui vicino abbiamo aspettato mezzanotte, l’arrivo della «copia staffetta». Il secondo direttore, Carlo Verdelli, non aveva molta familiarit­à con il dress code e per la prima sfilata indossava una camicia gialla non tanto adatta: avevamo soggezione di dirglielo, chiamai il guardaroba per trovare delle camicie bianche, tornai portandole in scooter cercando di non stropiccia­rle per consegnarl­e intatte. Ma lavorare a Vanity Fair in questi vent’anni è stato molto di più, non è mai mancato un momento di festa tra noi, avremo improvvisa­to almeno 100 brindisi in redazione. A me è sempre stato a cuore il fattore umano, e mi piace stare dietro le quinte. Perché senza dietro non c’è davanti. Ci sono state confidenze, karaoke, matrimoni, funerali, nascite, compleanni, notti, ferragosti e domeniche in redazione. Da quando sono qui, era il 2002, mi sono occupata di tante cose, da organizzar­e viaggi nei posti più sperduti (e trovare un fixer a Gabriele Romagnoli in Corea del Sud, per fargli preparare il suo funerale da vivo, richiesta così strana che nessuno accettava l’incarico) all’agenda del direttore (con i suoi imprevisti): al terzo, Luca Dini, serviva un telefono satellitar­e per andare in Antartide, al quarto, Daniela Hamaui, rubarono il telefono sulla Piazza Rossa a Mosca. Nel frattempo il giornale ha cambiato sede, il quinto direttore, Simone Marchetti, mi ha dato un ruolo più «grande» e di progetto, nessuno ha più le chiavi ma codici, e all’ufficio non servono fiori (che comunque non mancano) perché è bello è luminoso. Eppure, resta sempre la mia casa.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy