APRIAMO LE PORTE AGLI ALTRI, ACCENDIAMO I RIFLETTORI SUGLI INVISIBILI
La storia di Vanity Fair è costellata di uomini e donne di successo, che hanno portato bellezza, cultura e glamour dentro le case degli italiani, ma anche reso mainstream argomenti snobbati dalla maggior parte dei media – come la letteratura di autrici nere italiane, che hanno aperto una finestra sul razzismo interiorizzato e il passato coloniale di questo Paese; o la presenza degli italiani neri nella storia d’italia, a ricordare che l’italianità non passa per la bianchezza.
In quanto donna afrodiscendente italiana, cresciuta leggendo testi in cui il colore nero veniva demonizzato e guardando una tv che tendeva a stereotipizzare le persone come me (mostrandole come criminali o disperate su gommoni), ho sempre cercato spazi di rappresentazione positivi e plurali. Spazi che si focalizzassero sulle voci delle donne, delle persone razzializzate, di quelle con disabilità, di esponenti della comunità Lgbtqia+, di donne e uomini con ogni tipo di corpo. È di questo che ha bisogno l’italia di oggi: di aprire le porte al mondo, secondo uno sguardo intersezionale che valorizzi ogni voce.
Perché in tempi bui in cui la politica non tiene conto dei femminicidi in aumento e prende le difese degli stupratori, con responsabili dell’informazione che asseriscono: «Se eviti di ubriacarti, magari eviti anche di incontrare il lupo», la lotta al sessismo diventa responsabilità collettiva, e Vanity Fair non si è mai tirato indietro. E quando le istituzioni invisibilizzano i migranti di questo Paese, incrementando politiche di chiusura che restringono i diritti dei richiedenti asilo, diventa necessario accendere i riflettori sulle storie di chi attraversa il Mediterraneo, umanizzandole. Vanity Fair ci ha provato, pubblicando le storie dei diretti protagonisti come Charity Jimoh Edemenya, che ci ha raccontato la disumana traversata del Sahara e lo sfruttamento del suo corpo in Europa.
In un Paese che è in fondo alla lista degli Stati europei per la tutela dei diritti della comunità Lgbtqia+ (l’italia è 34esima secondo l’ilga), la lotta contro l’omofobia diventa cruciale: Vanity Fair è sempre stato in prima linea tanto che, nell’aprile 2021, ha lanciato una call-to-action per chiedere al governo italiano di approvare il ddl Zan contro i crimini d’odio.
Quando i palinsesti televisivi di una nazione vengono strumentalizzati dalla politica di estrema destra e le persone di etnie diverse in tv non si vedono da nessuna parte, se non in veste di token (ospiti chiamati in talk show a maggioranza bianca, per parlare spesso solo di razzismo o immigrazione), riequilibrare la visibilità delle «minoranze» è un dovere. Vanity Fair lo ha sempre fatto dando voce ad artisti, autori e personaggi che si battono contro il razzismo.
Allargare gli orizzonti, educare alla bellezza della pluralità e creare una contro-narrazione: è questo, Vanity Fair oggi. Uno spazio aperto a tutte e tutti, soprattutto ai sognatori come me, che guardano al mondo con ottimismo, lavorando con umiltà e dedizione per una società più equa, empatica e inclusiva.