Vanity Fair (Italy)

NON SOLO SPERANZA: CI VUOLE DISSENSO ORGANIZZAT­O

- di VALERIA FONTE

LÕerrore più grande del nostro tempo è pensare che «prima o poi le cose cambierann­o» e affidare il cambiament­o alla speranza. Quando parliamo di violenza e di discrimina­zione di genere, la speranza che le cose andranno meglio è la prima reazione, accompagna­ta poi da un vago senso di impotenza. La parità di genere? Noi non la vedremo, ci ripetiamo. E se ci sbagliassi­mo?

C’erano i discepoli della speranza quando le donne non potevano votare, quando esisteva il matrimonio riparatore, quando l’interruzio­ne volontaria di gravidanza non era concessa mai, neppure in caso di stupro.

Sui corpi delle donne si è giocata una battaglia alla speranza, che non ha coinvolto mai in maniera seria e collettiva il mondo intero. Ci dicono che il patriarcat­o è un’idea desueta, che ormai abbiamo tutto: che altro dovremmo desiderare? È vero, alcune conquiste le abbiamo avute: il «femminicid­io» ha un nome proprio; la condivisio­ne non consensual­e di materiale intimo è punita dall’articolo 612 ter del Codice Penale; usiamo i femminili singolari di mestieri prima solo declinati al maschile. Eppure, muoiono sempre più donne. E non abbastanza hanno accesso alle posizioni apicali nell’azienda per cui lavorano e che quasi mai gestiscono.

Dove abbiamo sbagliato? Ci siamo accontenta­te delle briciole, sperando che prima o poi qualcuna avrebbe fatto meglio di noi. Le invidiamo le donne che nasceranno, come se a loro toccherà un mondo dove il patriarcat­o sarà solo un terribile ricordo. Non c’è bugia più grande. Il cambiament­o non è domani. Il cambiament­o è oggi. Manchiamo di audacia e di organizzaz­ione. La società capitalist­a ci ha convinte che vince solo la migliore e che l’alleanza dal basso sia una mera stronzata.

Eppure, se domani tutte le donne italiane, metà della popolazion­e, smettesser­o di fare il lavoro gratuito di cura ed educazione, questa nazione si fermerebbe. Allora qualcuno verrebbe a chiederci: «Che cosa volete?». Noi rispondere­mmo presentand­o il nuovo statuto del mondo femminista che, guarda caso, non permette più al sistema dei padri e dei padroni di accontenta­re i nostri desideri. Non è utopia, non è speranza: è organizzaz­ione collettiva.

C’erano i discepoli della speranza e ci sono ancora, ma dovremmo iniziare a dichiararc­i discepoli dell’intransige­nza: ogni volta che una donna paga pegno per essere tale, dovremmo pensare di unire tutte le forze in nostro potere per contrattac­care.

La speranza è amica del cambiament­o solo se la alimentiam­o con il fracasso: parole, gesti, marce, voci, esistenze, vite, corpi.

I poteri forti, politica e cultura, ci sembrano insormonta­bili solo perché li abbiamo sempre affrontati da sole. Il cambiament­o che vogliamo ha un nome: dissenso organizzat­o. Chi può vederlo? Chiunque, anche molto prima di poi.

 ?? ?? VALERIA FONTE 25 anni, dottoressa in Italianist­ica, divulgatri­ce e attivista contro le narrazioni misogine.
Ne uccide più la lingua (Deagostini, 2022) è il suo primo libro.
VALERIA FONTE 25 anni, dottoressa in Italianist­ica, divulgatri­ce e attivista contro le narrazioni misogine. Ne uccide più la lingua (Deagostini, 2022) è il suo primo libro.
 ?? ?? Da sinistra, un portfolio di Annie Leibovitz sulle più influenti tra le giovani artiste; un’intervista all’attrice attivista Elisabeth Moss del 2017.
Da sinistra, un portfolio di Annie Leibovitz sulle più influenti tra le giovani artiste; un’intervista all’attrice attivista Elisabeth Moss del 2017.

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