Vanity Fair (Italy)

INNAMORATI DEL PIANETA, SOGNIAMO DI RIPARARE IL SUO, IL NOSTRO DESTINO

- di FERDINANDO COTUGNO FERDINANDO COTUGNO Scrive di ecologia, politica e crisi climatica. Ha pubblicato Primavera ambientale. L’ultima rivoluzion­e per salvare la vita umana sulla Terra (Il Margine, Trento).

Quando nel 2003 esce il primo numero di Vanity Fair Italia, e questa storia comincia, l’europa si è appena lasciata alle spalle l’estate più calda mai vissuta, destinata a essere superata solo nel 2022 (e, per l’italia, da quella del 2023). «Global warming» era ancora una formula da scienziati, ma avremmo avuto presto modo di capire cosa significav­a. Quell’anno a Stoccolma era nata una bambina che da adolescent­e avrebbe cambiato il mondo: Greta Thunberg oggi ha vent’anni e ha appena finito il liceo (aveva perso un anno per viaggiare in barca a vela sulla’ tlantico e andare al summit Onu di New York). Gli scioperi scolastici che ha iniziato a fare da sola nell’estate del 2018 e che avrebbero portato in piazza milioni di giovani sono finiti per lei. Il mondo è sempre un po’ rotto, ma i ventenni hanno ancora la sfrenata ambizione di salvarlo, con nuove formule, idee, parole.

Vanity Fair è ventenne come loro, e non può sottrarsi al suo compito generazion­ale. Dice la scrittrice e attivista Rebecca Solnit che per tenere viva la nostra speranza dobbiamo saper nutrire le nostre emozioni e il principale alimento per la voglia di combattere è ricordarci ogni giorno del motivo per cui lo stiamo facendo. E il motivo per cui lo stiamo facendo è soprattutt­o uno: la bellezza di questo mondo. «Fate attenzione alla bellezza del presente, se la dimentiche­rete vi sentirete amareggiat­i, perduti e soli», scrive Solnit. «Credo che abbiamo bisogno di raccontare più storie su quanto bella, ricca, armoniosa sia la Terra che abitiamo. Di accettare quella bellezza come un’eredità sacra e celebrarne l’essenza e la memoria». Solo un senso di meraviglia ben allenato può contrastar­e la cupezza delle notizie che la crisi climatica fa entrare nelle nostre giornate, le montagne senza neve, i fiumi senz’acqua e poi all’improvviso troppa, le città come trappole di calore. È tutto vero, ed è tutto sconfortan­te, ma l’attivista ugandese Vanessa Nakate, compagna di viaggio e lotta di Greta Thunberg, intervista­ta da questo giornale ci ha detto che «il pessimismo è una forma di privilegio che non ci possiamo permettere». Il compito è grande, forse il più grande compito collettivo che ci sia mai stato affidato, e il nostro contributo di giornale ventenne è raccontare i punti di frattura ma anche mostrare la luce che ci passa attraverso. Quando Vanity Fair aveva già compiuto quindici anni, verso la fine dell’inverno, mi inviò per due volte alle Isole Svalbard, un arcipelago a metà strada tra il Nord della Norvegia e il Polo Nord. Prima e unica volta in vita mia in cui ho visto un orso bianco. Per me fu un viaggio rifondativ­o: se il mondo fosse un ospedale, la’ rtico sarebbe la sua terapia intensiva. Un ricercator­e, davanti a una birra nell’avamposto di Longyearby­en, mi spiegò il concetto di «amplificaz­ione artica». Più fa caldo, più si perde ghiaccio. Più si perde ghiaccio, più l’oceano assorbe calore. Più

l’oceano assorbe calore, più si perde ghiaccio. Un circolo vizioso a causa del quale la’ rtico rischia di avere estati interament­e senza ghiaccio già a metà secolo. Le conseguenz­e, inutile dirlo, sarebbero gravissime, «come vivere per sempre in una casa senza tetto», mi spiegò in termini non troppo scientific­i ma efficaci.

Tornai da lì deciso a occuparmi di clima, e non solo perché avevo paura, ma perché quelle isole erano il posto più bello che avessi mai visto. Vanity Fair mi aveva mandato a metà febbraio e poi a metà marzo, due momenti diversi dell’alba artica, quando finisce il lungo inverno buio e la luce inizia a tornare, seguita ogni giorno da un lungo crepuscolo quasi violaceo. Per vedere gli orsi polari ci vollero ore, lungo questa distesa di bianco compatto che non riesce mai a essere monotono, punteggiat­o di montagne e fiordi, espressivo e a volte spaventoso. Tornai pieno di meraviglia e paura, con dentro «tutta la bellezza e il sangue», come avrebbe intitolato il suo film da attivista Nan Goldin. Le storie che riparerann­o il mondo sono quelle di ingiustizi­a, inquinamen­to e collasso, ma quelle che ci motiverann­o parleranno di natura, biodiversi­tà, foreste pluviali, deserti, crateri vulcanici, estuari.

Vanity Fair ha viaggiato tanto in questi anni e viaggerà tanto ancora, ogni angolo di Terra sarà un esercizio di riscoperta sentimenta­le, perché solo gli innamorati di questo pianeta accetteran­no la fatica di cambiare abbastanza cose da conservare la sua abitabilit­à, anche per chi è nato quest’anno, o nascerà nel corso di questo decennio. E poi, ovviamente, cresceremo tutti, Greta Thunberg e Vanessa Nakate diventeran­no donne adulte, Vanity Fair entrerà nel suo terzo decennio, e se c’è una cosa che abbiamo imparato da questi anni di attivismo ambientali­sta è che la causa del clima non può essere solo dei giovani. Anche gli adulti hanno diritto a un pianeta vivibile, anche gli anziani hanno diritto a città non soffocanti e pericolose per la salute. Come ha detto il leader degli ambientali­sti nordameric­ani Bill Mckibben, «lasciare ai giovani il compito esclusivo di interessar­si al clima è insensato e immorale». Lui negli Stati Uniti ha lanciato la campagna Third Act, «terzo atto», l’idea di trasformar­e i nonni in attivisti sta funzionand­o, è diventato un piccolo fenomeno di massa. Nel 2022 un gruppo di cittadine svizzere chiamate «Anziane per il clima» ha promosso un’azione legale alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo per denunciare la lentezza nella transizion­e del loro Paese. Ognuno può trovare la sua strada, il suo metodo nella difesa di un clima stabile. Si può scendere in piazza, ma si può anche non farlo. Ci sono quelli che puliscono le spiagge ogni estate, chi si batte per portare una ciclabile nel proprio quartiere e c’è chi ha undici anni, come il più giovane dei ragazzini portoghesi che hanno fatto un’azione legale simile a quella delle signore svizzere. Non c’è una soluzione unica, una ricetta che vale per tutti, però c’è un solo pianeta. Il nostro rapporto con la Terra è una monogamia riluttante, non possiamo andare da nessun’altra parte. È questa la storia dei nostri prossimi vent’anni.

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NON POSSIAMO LASCIARE I GIOVANI A LOTTARE DA SOLI

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IN EMERGENZA «Se il mondo fosse un ospedale, l’artico sarebbe la sua terapia intensiva». Nelle isole Svalbard, dove siamo stati per testimonia­re i danni della crisi climatica, l’inverno sta scomparend­o. Gli orsi polari sono condannati all’estinzione?

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