Vanity Fair (Italy)

CHI HA DETTO «TEMPO DI LETTURA»?

- di SILVIA BOMBINO

Alla prima riunione di redazione, dice più o meno così: «Poi c’è un dettaglio, che vorrei fosse messo in fondo alle interviste… I minuti che ci vogliono per leggerle». È il gennaio del 2004 – anni luce dal «tempo di lettura» metrica digitale che oggi misura quanto tempo un utente sta sul vostro articolo. Sono molto giovane e ascolto in religioso silenzio quella messa, come del resto i colleghi più anziani. Nessuno fiata e c’è un motivo. Non solo Carlo Verdelli parla con una voce molto bassa, scandisce le parole, prende i suoi tempi e solo alla fine (e non sempre) chiede il nostro intervento: incute proprio timore. Continua: «Vi è mai capitato di sfogliare una rivista e pensare che non riuscirete a leggere quelle colonne di testo? Ecco, è quello che succede a tutti i lettori. Ma noi vogliamo che leggano tutto, non che guardino solo le figure. E gli garantiamo che in quegli otto, dieci, undici minuti si divertiran­no, imparerann­o qualcosa, si emozionera­nno, continuera­nno a pensarci anche dopo aver chiuso il giornale. Avremo la speranza, l’ardire, di cambiargli un po’ la vita, in meglio. Quindi, qui (mostra la stampa di un impaginato, ndr) aggiungere­i una riga: tempo di lettura otto minuti, o dieci, undici. Domande?». È così che è nato «il tempo di lettura». Quello che se lo dimentichi i correttori ti mettono la nota: «Manca il tempo di lettura». Come si calcola? La regola aurea è 1 minuto ogni mille battute.

Il pezzo più lungo? L’intervista a Gisele Bündchen, aprile 2023, 30 minuti. Il più breve: cinque domande a Nicole Kidman, nel maggio 2010, da leggere in 7 minuti (il registrato­re dell’inviata Silvia Nucini segnava 6 minuti e 20 secondi di intervista).

I lettori, da subito, reagirono. Ansiosi: Vuol dire che ci devo mettere 7 minuti? E se mi distraggo? Spiritosi: Gentile direttore, ho letto l’articolo a pagina 126. Il tempo di lettura era 10 minuti ma ce ne ho messi solo 6: ho vinto qualche cosa? Da allora il «tempo di lettura» è resistito a tutti i restyling e a tre direttori. Sono spariti, o hanno cambiato posizione: titoli, occhielli, sommari, didascalie, filetti, capoletter­a, crediti, box. Lui è rimasto lì, fiero della sua vanità, in fondo a tutto.

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