CHI HA DETTO «TEMPO DI LETTURA»?
Alla prima riunione di redazione, dice più o meno così: «Poi c’è un dettaglio, che vorrei fosse messo in fondo alle interviste… I minuti che ci vogliono per leggerle». È il gennaio del 2004 – anni luce dal «tempo di lettura» metrica digitale che oggi misura quanto tempo un utente sta sul vostro articolo. Sono molto giovane e ascolto in religioso silenzio quella messa, come del resto i colleghi più anziani. Nessuno fiata e c’è un motivo. Non solo Carlo Verdelli parla con una voce molto bassa, scandisce le parole, prende i suoi tempi e solo alla fine (e non sempre) chiede il nostro intervento: incute proprio timore. Continua: «Vi è mai capitato di sfogliare una rivista e pensare che non riuscirete a leggere quelle colonne di testo? Ecco, è quello che succede a tutti i lettori. Ma noi vogliamo che leggano tutto, non che guardino solo le figure. E gli garantiamo che in quegli otto, dieci, undici minuti si divertiranno, impareranno qualcosa, si emozioneranno, continueranno a pensarci anche dopo aver chiuso il giornale. Avremo la speranza, l’ardire, di cambiargli un po’ la vita, in meglio. Quindi, qui (mostra la stampa di un impaginato, ndr) aggiungerei una riga: tempo di lettura otto minuti, o dieci, undici. Domande?». È così che è nato «il tempo di lettura». Quello che se lo dimentichi i correttori ti mettono la nota: «Manca il tempo di lettura». Come si calcola? La regola aurea è 1 minuto ogni mille battute.
Il pezzo più lungo? L’intervista a Gisele Bündchen, aprile 2023, 30 minuti. Il più breve: cinque domande a Nicole Kidman, nel maggio 2010, da leggere in 7 minuti (il registratore dell’inviata Silvia Nucini segnava 6 minuti e 20 secondi di intervista).
I lettori, da subito, reagirono. Ansiosi: Vuol dire che ci devo mettere 7 minuti? E se mi distraggo? Spiritosi: Gentile direttore, ho letto l’articolo a pagina 126. Il tempo di lettura era 10 minuti ma ce ne ho messi solo 6: ho vinto qualche cosa? Da allora il «tempo di lettura» è resistito a tutti i restyling e a tre direttori. Sono spariti, o hanno cambiato posizione: titoli, occhielli, sommari, didascalie, filetti, capolettera, crediti, box. Lui è rimasto lì, fiero della sua vanità, in fondo a tutto.