QUEL POCO CONTIENE MOLTO
Caro Simone, ho scritto. Ti ringrazio per la proposta di tenere una rubrica di racconti su Vanity Fair. Purtroppo non posso accettare. Il formato – solo 650 parole – per me è troppo breve. Le consegne troppo rigide. E per quanto l’idea – una rubrica di racconti in ordine alfabetico – sia originale e allettante, mi limiterebbe molto. Non mi piace ammanettare la mia creatività. Quindi grazie, grazie davvero di avere pensato a me. Spero che avremo occasione di collaborare in futuro, ma per questa volta la risposta è: no».
Poi però, un attimo prima di premere «invia», ci ho riflettuto: perché no, in effetti? Il vero motivo per cui sto per dire no a Vanity Fair è la paura di non farcela. Di non riuscire a sostenere il ritmo di una rubrica settimanale di racconti. Da quando permetto alla paura di decidere per me?
Ho cancellato la prima mail e ne ho scritta un’altra.
D’accordo, Simone. Mandatemi almeno dieci parole in italiano che iniziano per «A». Ne sceglierò una e proverò a scrivere un racconto.
Così è cominciata un’avventura durata due anni: più di 100 settimane durante le quali ho mandato racconti di 650 parole a Vanity Fair. Senza mai tardare. Senza mai oltrepassare il numero di parole previsto. La rubrica ha influenzato in modo drammatico la mia esistenza. Quando ogni settimana devi scrivere un racconto nuovo (e buono! Che ti convinca del tutto!), ti aggiri per il mondo come un cacciatore. Tutto quello che ti succede, sia pure un salto al supermercato con tua figlia, può diventare materiale per la rubrica; prendere un caffè al bar è l’occasione per ascoltare la conversazione di chi è seduto al tavolo vicino e carpire un’idea. E naturalmente, c’era la miniera d’oro della memoria e la libertà di utilizzare ricordi molto intimi, a cui non avrei osato attingere in Israele, ma in Italia? Avanti tutta! Mi è tornata la passione per i racconti. Per il poco che contiene molto. Per il piacere di non lasciare nel testo neppure una parola superflua. La rubrica su Vanity Fair non ha ammanettato la mia creatività, l’ha scatenata. Ho scoperto che non tutte le idee devono essere espresse in un romanzo dentro cui resti seppellito per anni. Si può scrivere un racconto. E da quello saltare a un secondo, con protagonisti diversi. E dal secondo a un terzo. Nuovo, fresco.
La rubrica di Vanity Fair ha dato vita non a un libro soltanto, ma a tre. Vocabolario dei desideri, una raccolta che include una selezione di racconti accompagnati dalle stupende illustrazioni di Pax Paloscia. Le vie dell’eden, la prima parte del quale si ispira a Luna di miele, pubblicato da Vanity Fair come romanzo a puntate. E Serenata, un libro di racconti appena uscito in Israele (in Italia arriverà nel 2024), in parte basato su racconti pubblicati cuccioli nella rubrica, che dopo ho cresciuto trasformandoli in racconti più pazienti, più completi, più maturi.
E non è tutto! Al momento sono in scena due spettacoli musicali-letterari basati su racconti di Vanity Fair. In uno duetto con un pianista di musica classica, e nel secondo sono accompagnato da un gruppo rock.
Tutta questa abbondanza, amici, è cominciata con un’offerta che ho quasi respinto. Il dito era pronto su «invia».
Perciò la prossima volta che state per rifiutare qualcosa per paura di fallire, pensateci bene. E magari osate, dite sì.
Potrebbe essere l’inizio di un’avventura che vi cambierà la vita.
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