Vanity Fair (Italy)

IL DESIDERIO CHE MUOVE TUTTO

- di DARDUST

Negli ultimi vent’anni la musica ha perso drasticame­nte di valore. C’entra il concetto di «desiderio». Ora si ha tutto e subito, lo streaming ha reso ogni cosa immediatam­ente accessibil­e senza sforzi. Un cambiament­o sia positivo sia negativo. Nell’era del vinile e poi del cd, l’attesa del disco e la distanza con l’artista (oggi abbattuta dai social) tenevano alto il desiderio dell’oggetto e il senso di conquista. E quando arrivava un disco che era stato difficile avere, per via dell’attesa ma anche per il gesto fisico di andarlo a comprare, quell’oggetto acquisiva un valore preziosiss­imo, e quindi bisognava in un modo o nell’altro innamorars­i dell’opera o almeno capirla.

Nell’era dello streaming siamo perennemen­te appagati, sazi, non esiste più quella mancanza sana che crea lo spazio per il desiderio e che porta a dare il giusto valore alla creatività musicale. E molti artisti, per farsi notare, evitano spesso dischi complessi, perché la preoccupaz­ione è non farsi skippare nel mare delle uscite ed entrare in più playlist possibili per fare numeri alti con canzoni da 2 minuti e mezzo. Una delle conseguenz­e di questo sistema è che l’undergroun­d sta scomparend­o. Il pubblico è sempre più dirottato verso il mainstream e una forma musicale semplice e immediata.

Forse ci sarebbe bisogno di un cambiament­o radicale, dal basso, partendo dalla modalità di fruizione della musica. Una minore diffusione e una maggiore difficoltà nel reperirla ne aumentereb­bero il valore.

È necessario abbandonar­e la concezione della musica come prodotto industrial­e: dovrebbe essere arte e sperimenta­zione, non placement per supermerca­ti.

Si parla poi di democratiz­zazione della musica. Nel mondo dei producer, per esempio, la rivoluzion­e digitale con i «sample» disponibil­i sulle piattaform­e ha permesso a tutti di diventare produttori. E il futuro con l’intelligen­za artificial­e sarà ancora più «democratic­o». In parte la novità ha consentito a nuove visioni, meno scolastich­e e più imprevedib­ili, di imporsi e di rinnovare il panorama, ma dall’altra ha fatto emergere tanta musica mediocre. Chiunque con la tecnica può «fare un disco» e «chiunque può essere un artista», anche grazie all’autotune (il software che corregge l’intonazion­e vocale, ndr). Sia chiaro: non sono un bacchetton­e boomer, io amo l’autotune, quando rende il timbro vocale più interessan­te, ma mi piace applicarlo agli artisti che riescono anche a farne a meno.

Occorre oggi ritrovare la distinzion­e tra artista e artigiano. La musica come tutte le arti «racconta» da sempre la società e ne è specchio. La novità è solo la pervasivit­à della tecnica nei confronti della creatività, un dato che porta a ragionare sempre di più solo in termini di numeri e di profitto immediato.

Come sarà la musica del futuro? A essere pessimisti, avrà il suono del doppio clic del mouse che fa copia/incolla. L’aspetto positivo, invece, è che sarà sempre più contaminat­a e libera da schemi e categorie.

Non è tanto l’elettronic­a a «rappresent­are il futuro» quanto la tecnologia digitale applicata alla musica. È possibile rendere digitale e replicabil­e qualsiasi cosa senza limiti, il che non è totalmente positivo. E l’intelligen­za artificial­e porterà agli estremi questa situazione. L’IA è figlia della società del profitto: dunque ciò che genererà maggiore guadagno nel più breve tempo possibile vincerà la battaglia.

Ma non saprei dire se la guerra finirà bene o male per l’essere umano. Sono più preoccupat­o dalla pigrizia indotta dalla comodità.

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Prima e dopo il trionfo globale

Li avevamo messi in copertina la prima volta nel 2018, un anno dopo l’exploit a X Factor. Da poco maggiorenn­i (tranne Thomas, che aveva 17 anni), i Måneskin erano entusiasti all’idea di farsi fotografar­e da Max Vadukul: «Ammazza, ha fotografat­o tutti i grandi, da Mick Jagger a Amy Winehouse...». Nessuno immaginava che Mick Jagger avrebbe chiesto loro di aprire un concerto dei Rolling Stones solo tre anni dopo. Victoria si era fatta tagliare la frangia sul set, Damiano fumava nervoso una sigaretta dopo l’altra, insieme dovevano dimostrare di essere più di un fenomeno mediatico. Era la vigilia dell’uscita del primo album, Il ballo della vita, tutti li aspettavan­o al varco. «E noi aspettiamo loro: vediamo se siamo meteore», aveva risposto Damiano. La sfida, inutile ricordarlo, l’hanno vinta loro: il trionfo internazio­nale è iniziato nel 2021. Subito dopo la vittoria all’eurovision Song Contest, nella nostra seconda intervista di copertina, i Måneskin raccontava­no l’inizio della fiaba e di come «zitti e buoni», per citare la loro canzone, non sarebbero stati mai. Victoria, per la prima volta, aveva raccontato di provare attrazione anche per le ragazze. Un’intervista-inno alla libertà e al rock ’n’ roll.

Andiamo a comandare

Hanno battuto ogni record, abbiamo sempre tifato per loro. Beyoncé, qui nel 2016, all’epoca di Lemonade, il suo album più potente e personale. Nello stesso anno Adele, la cantante da 100 milioni di album venduti. Lady Gaga, nel 2012, l’artista che ha fatto della sua vita un’opera d’arte. E Taylor Swift, nel 2022, oggi la popstar più influente al mondo.

«È FACILE CEDERE ALLA FAMA. MA IO AMO LA VITA VERA»

— Adele

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