Vanity Fair (Italy)

TUTTI VOGLIONO IL FATTORE X

- di MARA MAIONCHI

Sapete che i talent show hanno una radice molto più antica di quello che pensiamo?

Vi racconto cosa ho scoperto, seguitemi perché prometto che il prologo c’entra. Secondo una ricostruzi­one storica dell’università di Lund, in Svezia, i talent show affondano le radici nell’offerta di intratteni­mento delle prime colonie estive inglesi, i villaggi Butlins, una catena di località balneari che proponeva vacanze agevolate alla classe media inglese già negli anni ’30 e ’40 del Novecento.

Il villaggio Butlin divenne un rito di passaggio per i performer, i presentato­ri, i maghi e gli intratteni­tori più promettent­i che, se avessero guadagnato consenso, sarebbero stati spediti direttamen­te in tv.

La parte interessan­te però è che con questa offerta si diffuse nel pubblico una vera cultura dell’intratteni­mento da talent, tanto da far nascere la domanda anche per il mercato nazionale. Fu prima in radio nel 1949 (74 anni fa, io avevo otto anni!) e poi dal 1956 sul piccolo schermo che esordì così il primo talent show per artisti esordienti sconosciut­i Opportunit­y Knocks, «l’opportunit­à bussa», in cui i partecipan­ti venivano valutati con l’applausome­tro o con il voto via lettera da casa.

Anche gli americani già dal 1947 lanciavano nell’etere The Amateur Hour, «l’ora del dilettante», un programma che si stima abbia provinato almeno un milione di persone fino al 1970. Pensate che persino Maria Callas e Frank Sinatra passarono su quel palco. C’è stato molto altro in mezzo, fino ai gloriosi anni 2000 dei format di Simon Cowell come X Factor.

Quello che secondo me in tutti questi anni non è cambiato però – e qui arrivo al punto – è quel desiderio del pubblico di collegarsi a un rito collettivo fatto di empatia e humour in cui tutti si possono calare in tutti i ruoli: il giudice stronzo, il presentato­re emotivo, l’esordiente improvvisa­to. Chi di noi non si identifica in questi ruoli? D’altronde basta aprire Tiktok per esercitars­i.

Parlando di ciò che conosco da più vicino come Italia’s Got Talent o X Factor: il talent show moderno spinge molto sull’elemento «reality» raccontand­o spesso le fatiche sperimenta­te per guadagnars­i l’esibizione. Questo conferma che il talent show fa perno sulla necessità di farti sintonizza­re con chi è dall’altra parte; dopotutto anche se non si ha un talento specifico in quanti hanno sognato di essere artisti alla ribalta?

E poi c’è l’onda lunga, la pop culture. «Hai visto Amici ieri sera?», «Chi hai votato alla finale di…?»: sono solo alcune delle domande che popolano l’ecosistema che alimenta un format televisivo, sui social come in ufficio o al bar, diventando parte dell’immaginari­o collettivo.

Quale sarà la nuova frontiera del talent show? Forse inserire sempre più linguaggi da altre forme di intratteni­mento come fa Il cantante mascherato che è insieme talent e game show. Auspico che il talent rimanga in buona salute, almeno finché il bisogno di sentirsi coinvolti in maniera leggera e umana sarà gradito, come dice la mia amica Simona, al pubblico sovrano.

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Mara Maionchi, con Fedez, 33, a X Factor nel 2018. In alto, a sinistra, Mika, 40, giudice del talent dal 2013 al 2015 e dal 2020 al 2021.
I GIUDICI Mara Maionchi, con Fedez, 33, a X Factor nel 2018. In alto, a sinistra, Mika, 40, giudice del talent dal 2013 al 2015 e dal 2020 al 2021.

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