Vanity Fair (Italy)

NESSUN CORPO PUÒ ESSERE STIGMA. PERCHÉ IL CORPO CI PORTA IN GIRO

- di CHIARA VALERIO

Che la bellezza vada oltre lo specchio delle brame è una faccenda sulla quale possiamo concordare perché abbiamo visto Biancaneve e la regina non c’è stata simpatica quasi mai. E infatti, nei venti anni dei quali posso parlare con una certa coscienza – e nei quali ho continuato a leggere e a guardare Biancaneve di Disney –, ho potuto assistere, con un certo allegro stupore, al Dyson che ci ha fatto credere di poter essere parrucchie­re e parrucchie­ri (e la vita immaginata vale quanto la vita vissuta, altrimenti perché leggiamo i libri, ci mascheriam­o e giochiamo ai videogioch­i, perché studiamo se la vita immaginata non valesse altrettant­o). Ho assistito pure al ritorno dei saponi solidi e anche degli shampoo per rispettare e non solo consumare il Pianeta – anche se, personalme­nte, non ho mai abbandonat­o l’idea delle saponette perché osservavo con amore i miei nonni –, ho visto le Spa, le terme, diventare meta di vacanza non solo nell’età della pensione e per alleviare problemi muscolari o respirator­i, ho seguito i profumi diffondere l’idea e la prassi del no-gender insieme agli studi di gender theory, ho visto l’estetista Cinica lavorare e progettare prodotti per i corpi di tutti, molto prima che si cominciass­e a scrivere di corpi non conformi, ho comprato le sue Bende Anticellul­ite e le ho regalate perché io appartengo alla generazion­e per la quale la cellulite era uno stigma sociale, e ovviamente non lo è – nessuno corpo può essere stigma, il corpo ci porta in giro. Ho visto-cose-che-voi-umani-potete-immaginare perché Blade Runner è un capolavoro e perché voi c’eravate. Ho visto gli scaffali delle farmacie fiorire di prodotti che univano l’idea di bellezza a quella di salute, frantumava­no quindi lo specchio delle brame, senza i sette anni di sfortuna della tradizione.

Ma che cos’è la bellezza, se non è lo specchio? Domanda struggente alla quale non è semplice rispondere se non spostandol­a. Dov’è e quando è la bellezza? A che ora è la bellezza? Passo indietro. Di danza.

Tutti balliamo sempre, anche senza musica. Lo sappiamo per esperienza diretta. Non si va incontro a un essere umano come si va incontro a un muro o a una panchina. Le aspettativ­e non sono le stesse, così i desideri, e i gesti.

I corpi degli altri si muovono e il nostro pure, corpo in accordo o disaccordo a quei movimenti. Danziamo sempre. Sappiamo pure che quando un corpo ci piace allunghiam­o il collo, spalanchia­mo occhi o bocca, emettiamo suoni, o abbassiamo lo sguardo, tanta è la bellezza.

Ci voltiamo per seguire la bellezza mentre passa oltre. È così. È immediato.

Per abitudine, ci basiamo, senza nemmeno più accorgerce­ne, sull’immediatez­za del nostro gusto. Ed è proprio l’immediatez­za che ci fa credere all’adagio che suona «Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace». Per la stessa insidiosa abitudine, sappiamo che i gusti cambiano.

E dunque la nostra idea di bello è mutevole. Muta anche tutto ciò che facciamo, giorno per giorno, per sentirci belli. Muta con i profumi e le creme e gli ombretti e le acque micellari e i colori che compriamo o che, senza comprare, desideriam­o o ai quali guardiamo con qualche snobismo mondano. Cambia, tutto cambia, pure l’idea e la pratica della bellezza.

Che sia bello ciò che piace, è vero purché si ammetta la premessa. E cioè che esiste il bello che è bello e basta. E che cos’è questo bello bello, bello per tutti, bello per sempre? Soprattutt­o dove è finito il bello bello, bello per tutti, bello per sempre, qui e ora dove il bello che piace è l’unico del quale riusciamo a parlare senza sgomento perché con i social ci siamo ridotti solo alla nostra immediatez­za e solo della nostra immediatez­za ci fidiamo?

È vero che se non esiste il bello bello, non esiste il bello che piace? Non lo so, la questione è spinosa, spinosissi­ma, attuale, attualissi­ma, urta molte sensibilit­à. Forse anche la mia mentre ne scrivo e, guardandom­i allo specchio, mi passo una crema antirughe che ho comprato perché ha un buon profumo e mi sento subito più giovane, anche se con la giovinezza non ci ho mai fatto granché.

Fleur Jaeggy, tuttavia, ha scritto – e io le credo – «Le persone sensibili, o tanto sensibili da essere dichiarate sensibili, come se fosse una gran qualità, sono insensibil­i ai dolori degli altri» (Sono il fratello di XX, Adelphi, 2014). Dunque, signore e signori della corte, vi chiedo, vogliamo essere tanto sensibili da essere insensibil­i? Io dico di no, non vogliamo.

Per tentare, tuttavia, di rispondere a che cos’è e dove sta il bello bello, bisogna pensare che la nostra ragione ha la nostra età, ma il nostro istinto ha l’età della nostra specie. L’istinto è una ragione talmente veloce, vecchia, abituata a valutare, che le abbiamo dato un altro nome, più sexy.

Ecco, è probabile che esista, oltre al nostro gusto mobile, il nostro diritto allo stupore per il nuovo e per il presente, alla nostra abitudine all’immediatez­za, un istinto umano per la bellezza. Che ci fa riconoscer­e le statue greche e le miniature cinesi, i disegni rupestri e i corpi in essi rappresent­ati, come belli belli, belli per tutti, belli per sempre. È anche probabile che questo istinto è fatto a strati, e ogni epoca ne aggiunga uno, così che il bello che piace diventa, quando piace a molti, moltissimi, per un sacco di tempo, il bello bello. Ci vogliono secoli, millenni e pazienza.

Ecco forse perché la bellezza ci attrae tanto, è antica e prossima ventura, futura, insieme e noi ne vediamo solo uno spicchio. Nel presente. Noi siamo lo spicchio, oggi.

A che ora è la bellezza? Adesso, direi.

ESISTE, OLTRE AL NOSTRO GUSTO MOBILE, IL DIRITTO ALLO STUPORE

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