SOSTENIBILE, DEMOCRATICA. PIÙ QUALITÀ E MENO SPRECHI: NASCE LA CUCINA POP
Negli ultimi 20 anni, dall’apertura del D’O nel 2003 a oggi, il mondo della cucina è davvero cambiato, dal modo di nutrirsi per vivere meglio alle abitudini delle persone con l’avvento dei social media, che permettono di comunicare chi siamo e quello che facciamo, di conoscere l’idea di cucina degli altri, di diffondere la scelta sempre più radicata di usare principalmente ingredienti vegetali e di approfondire la propria conoscenza per un’alimentazione corretta. Il mio obiettivo come cuoco è sempre stato quello di nutrire bene le persone: creare piatti buoni, ben fatti e accessibili, grazie alla continua ricerca, sfruttando la stagionalità e il proprio territorio. Questa attenzione fa parte del mio passato: vengo da una famiglia che rispettava il corso delle stagioni, attenta all’economia domestica, al nutrirci al meglio ma senza sprechi. E questa cultura del cibo, questo ritorno alla saggezza di un tempo sono stati ben percepiti dalla gente. La sostenibilità è già nel nostro Dna, la stiamo solo riscoprendo. La cucina poi è diventata più democratica: se prima c’erano solo appassionati gourmet che andavano in certi ristoranti, ora c’è un mondo che ci vuole entrare. Non è un caso se abbiamo iniziato vent’anni fa la cucina Pop, che significa accessibilità, correttezza ed etica applicata al cibo. L’uso della materia prima è cambiato: se prima avevo un 40 per cento di carne in menu, ora sarà il 7, 8 per cento. I piatti sono più leggeri, facili; prendiamo la mia cipolla caramellata (nella foto), signature dish che definisce al meglio l’armonia dei contrasti: la stessa bontà, ma più eterea, elegante. Ci siamo avvicinati sempre di più al mondo del mare e ancora di più a quello vegetale, un passo importante anche per la salvaguardia del nostro Pianeta. E pure la tecnologia ci aiuterà, con lo sviluppo dell’agricoltura aeroponica e idroponica, fondamentale per avere prodotti di qualità sufficienti per tutti. Un altro cambiamento importante a cui abbiamo assistito è quello dei cuochi che sono usciti dal segreto delle loro cucine: da Bocuse, Marchesi, Ducasse in poi è stato dato maggior valore all’artigianalità del nostro lavoro, un fenomeno che si è ulteriormente diffuso grazie alla tv con programmi popolari come Masterchef, che hanno permesso di scoprire il dietro le quinte, dando l’input a essere più aperti, con un sistema di ristorazione trasparente che fa bene a tutti. Non solo ai clienti, che apprezzano e si fidano di più, ma anche ai ragazzi della brigata, che lavorano meglio, in cucine più ampie, luminose, con maggior serenità. Perché un altro aspetto fondamentale del cambiamento è la sostenibilità umana: dopo la pandemia gli iscritti nelle scuole albeghiere sono scesi da oltre 70 mila a 40 mila. Forse tanta difficoltà a reperire personale è dovuta alla mancanza di un’idea gestionale chiara. Ma sono ottimista: secondo me con leggi corrette e confrontandosi con le associazioni nel giro di qualche anno vedremo molti più giovani riavvicinarsi a questa professione, che effettivamente è dura. Quando ero un allievo, 35 anni fa, era davvero «uno su mille ce la fa», ma i tempi sono cambiati, le cucine attuali sono meno forzate, si lavora in team con i ragazzi e le idee diventano un progetto comune. Lo scambio tra l’energia dei giovani e l’esperienza dei più anziani è il futuro, siamo sulla strada buona. E poi c’è il buon esempio, che, come diceva il maestro Gualtiero Marchesi, è la più alta forma di insegnamento. Visione e concretezza, dunque. E come dico sempre ai miei allievi: «Terra su cui mettere i piedi e non solo cielo dove mettere i sogni».