SPAZI FLUIDI, OGGETTI TRASFORMISTI, ALGORITMI: LA CASA È UN ABITO
Ogni casa è un nostro particolare ritratto e lo specchio del tempo che viviamo. Non a caso la parola «abito» può essere interpretata sia riguardo al nostro guscio domestico sia relativamente all’abbigliamento che portiamo, a ricordarci che esiste un legame tra le nostre residenze private e la dimensione pubblica in cui ci muoviamo.
La casa continua a essere il luogo in cui rifugiarsi, il nido in cui sentirsi finalmente protetti, ma l’insinuarsi progressivo del mondo digitale e la scossa potente della pandemia hanno cambiato la sua forma simbolica e fisica. Le nostre case sono i primi veri laboratori di una metamorfosi che sta cambiando il nostro modo di abitare.
Quando nel 1982 uscì il film Blade Runner, diretto da Ridley Scott, tutti noi eravamo stati trasportati in una Los Angeles del 2019 dominata da un cielo perennemente tetro, macchine che si muovevano in aria, umani che vivevano insieme ai cyborg e appartamenti in cui alcuni pezzi di design italiano si mescolavano distrattamente a un immaginario neo-gotico senza tempo. A distanza di quarant’anni Los Angeles mantiene un cielo azzurro-barbie, il traffico morde sovrano e nessuna automobile si profila in cielo a parte qualche drone di consegna Amazon. Lo scenario di cambiamento avvenuto è molto più impalpabile e, se abbiamo la fortuna di guardare ad alcuni appartamenti particolarmente aggiornati, potremmo riconoscere un elegante purificatore d’aria della Dyson, appoggiato su un pavimento di ceramica Marazzi antibacterial, che fa il paio con un misterioso rubinetto per l’acqua disegnato da Carlo Frattini, insieme a una cucina «intelligente» di Siemens o a un altro bellissimo piano cottura a induzione aspirato da una minimale cappa di Nikola Tesla. E tutti questi elettrodomestici sono connessi tra di loro e collegati ai nostri cellulari, che forniscono generosamente dati e informazioni e consentono non solo la cura, ma anche la premonizione su quello di cui potremmo avere bisogno, dalla qualità dell’aria e della temperatura, passando per la luce e la spesa.
Tutti questi progetti prodotti dall’industria italiana e internazionale più evoluta,
puntano a pochi elementi chiari: la riduzione dello spreco di acqua, energia elettrica e gas, con un contenimento batterico degli ambienti che passa attraverso la purezza dell’aria che respiriamo. Si tratta di elementi che hanno a che fare con l’immane sfida ambientale che abbiamo davanti a noi e non solo per la conseguenza della pandemia che abbiamo attraversato in tutto il mondo. Il tempo in cui eravamo ammirati dalla domotica è stato ampiamente superato da una dimensione ancora più impalpabile e interconnessa che inserisce le nostre abitazioni ed esistenze in un sistema sempre più vasto e pervasivo. Il modello attuale è quello che si definisce «data driven»: una serie di algoritmi e sistemi sempre più «intelligenti» interpretano e leggono tutte le informazioni che forniamo continuamente attraverso i nostri dispositivi digitali e le mettono in relazione tra di loro, facendo in modo che ogni macchina a nostra disposizione si parli con le altre e si coordini per migliorare progressivamente la nostra vita.
Questo vale per le abitazioni come per i sistemi di regolazione del traffico per le strade, come succede nelle metropoli più evolute come San Francisco, Helsinki, Tokyo e Oslo, dove l’obiettivo è la riduzione drastica delle automobili e dell’inquinamento da carbon fossile, per raggiungere i parametri per l’ambiente richiesti dall’agenda 2030, dagli obiettivi Onu 2050 e, recentemente, dal Green Deal della Comunità Europea.
La battaglia per la sostenibilità diffusa e un equilibrio ecologico che ancora manca, passano dalle nostre città e arrivano nelle nostre abitazioni, veri terminali da cui ridurre il consumo di risorse e materie prime in eccesso. In questi ultimi due decenni siamo passati dalle lampadine a incandescenza ai led, con un risparmio di energia molto significativo, eppure le magie di alcuni progetti illuminotecnici recenti, come per la serie Setareh di Francesco Librizzi per Fontanaarte, la misteriosa Hue di Philips o l’essenzialità della Discovery di Artemide e della String Lights di Flos, ci dicono che le nostre aziende e i migliori progettisti hanno saputo dare forma a questa sfida tecnologica e ambientale.
Ogni spazio della casa sta vivendo una trasformazione radicale che cerca una sempre maggiore flessibilità dei nostri ambienti e degli oggetti che diventano sempre più trasformisti: la pandemia ci ha insegnato che nessun elemento della nostra esistenza deve essere rigido e mono-funzionale, ma deve consentire un uso inatteso per un’esistenza sempre più soggetta a cambiamenti repentini. Le nostre case si avvicineranno sempre più alle tende nomadi, le prime abitazioni dell’umanità, in cui ogni mobile era veramente mobile, ogni bisogno ridotto all’essenziale senza spreco di risorse ed energie, ogni oggetto necessario e resistente nel tempo, senza per questo rinunciare alla bellezza e alla qualità dei luoghi che ci circondano.
Il concetto di privacy, che ha costruito le nostre metropoli e abitazioni per almeno tre secoli, sta mutando prepotentemente. Non esistono più porte chiuse e spazi inaccessibili se Google ci accompagna in ogni momento della nostra esistenza. Le nostre abitazioni e le città saranno sempre più legate e interdipendenti e, anche a causa dell’innalzamento delle temperature, cambiano anche le relazioni tra interno ed esterno e gli arredi saranno pensati per stare fuori e dentro, lo si vede dalla qualità ricercata degli arredi outdoor di Pedrali, Poliform o Kartell. Immagino ambienti sempre più fluidi, magari contrapposti ad ambienti segreti, davvero sconnessi in cui vivere la nostra vita più intima. Immagino le nostre case come ritratti misteriosi e insieme collettivi di un mondo differente, in cui la sfida per la sostenibilità, ambientale e sociale, ci accompagnerà ancora per molto tempo.
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CON GOOGLE SEMPRE PRESENTE NON ESISTONO PIÙ PORTE CHIUSE