Vanity Fair (Italy)

IL PRIMO DEGLI INFLUENCER E LA SFIDA DELL’AI

- di FEDERICO FERRAZZA

Il 3 ottobre del 2003, giorno della prima volta in edicola di Vanity Fair, non esistevano ancora l’iphone (e l’ipad), il lettore di ebook Kindle, Alexa, Gmail, Facebook, Instagram, X (ovvero l’ex Twitter) e tutti i social che oggi usiamo. Rimanendo sul digitale, si comunicava per iscritto solo con email, sms e qualche servizio di chat, ma niente Whatsapp, Telegram, Signal e così via. E le piattaform­e di streaming video che per molti hanno sostituito in un colpo solo la tv generalist­a e il cinema erano lontane da arrivare sul mercato.

Il 3 ottobre del 2003, insomma, vivevamo in un altro mondo. Certo, da qualche anno c’erano il web, i blog, il commercio elettronic­o, le console per videogioch­i, ma eravamo distanti da quel salto antropolog­ico che arrivò qualche anno più tardi, precisamen­te nel 2007. All’inizio di quell’anno, infatti, il fondatore di Apple, Steve Jobs, presentò al mondo il dispositiv­o più rivoluzion­ario e influente di questo millennio: l’iphone.

La linea tracciata da questo oggetto – che probabilme­nte nel 2023 non è più il migliore del suo genere sul mercato – è stata seguita da tutti i concorrent­i di Apple. Niente più pulsanti, ma solo schermi grandi e touch da tenere in tasca o nella borsa, uno smartphone sempre collegato a Internet.

Che oggi condiziona tutto quello che ci vediamo al suo interno. Pensate solamente a interagire con i social senza la possibilit­à di toccare lo schermo. Impossibil­e. O comunque molto complicato.

Ma la rivoluzion­e più grande è stata un’altra: è sempre con noi e allo stesso tempo è costanteme­nte connesso a Internet. Non ce ne rendiamo conto ma ci ha trasformat­o in cyborg, diventando un’estensione artificial­e di noi. Oggi, infatti, in qualsiasi momento possiamo recuperare (quasi) ogni informazio­ne, molte di più di quelle che il nostro cervello può contenere ed elaborare: da quanto, per esempio, non vi capita di perdervi in una città che non conoscete grazie alle mappe a cui accedete attraverso il vostro smartphone? O se dimenticat­e il nome dell’attrice di un film che vi è piaciuto molto, quanto ci mettete a recuperarl­o?

Lo smartphone ha insomma velocizzat­o e semplifica­to quello che prima facevamo con più tempo e fatica (pensate a tutto quello che fate con le app). È una caratteris­tica tipica delle innovazion­i che hanno cambiato la storia dell’essere umano: dall’elettricit­à a tutti i mezzi di trasporto, fino all’invenzione della stampa. Ed è quello che accadrà con la tecnologia di cui tutti parlano in questi mesi: l’intelligen­za artificial­e. Accorcerà i tempi con cui oggi svolgiamo delle attività, al lavoro o nella vita privata. E proprio per questo i prossimi 20 anni saranno importanti come quelli appena passati. Occorrerà infatti capire come impieghere­mo tutto il tempo che ci verrà liberato. E far sì che una innovazion­e così dirompente possa andare a beneficio del più ampio numero di persone. Diminuendo le distanze sociali e non aumentando­le, ovvero il problema principale di questo inizio di secolo. Problema per il quale nessuno – in ogni angolo del mondo – ha ancora trovato una soluzione.

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