«MAI COME IN QUESTO MOMENTO LE PAROLE SONO FONDAMENTALI»
N2017, quando sono diventata direttrice di Vanity Fair, avevo un’ossessione: ero convinta che stavamo perdendo le parole. Mi rendevo conto che il nuovo millennio stava voracemente divorando il linguaggio per fare spazio alle immagini. Una sequenza infinita di video e fotografie finiva a ritmo continuo sui nostri telefonini che ne erano lo scrigno. Le parole sembravano diventate superflue. Non volevo arrendermi a questa logica e la realtà me ne offrì lo spunto. Proprio in quell’anno decine di attrici avevano accusato di molestie sessuali il produttore americano Harvey Weinstein e lanciato un dibattito sulle violenze e le discriminazioni nei confronti delle donne: era la nascita del #Metoo, movimento che ruotava intorno a una parola e al suo significato «no vuol dire no». Un concetto semplice ma che tuttora molti non capiscono o fanno finta di non capire. È vero, siamo diventati orfani di parole, ne conosciamo sempre di meno, ne usiamo pochissime e spesso a sproposito, ma mai come in questo momento sono fondamentali. Amo le immagini, possono essere feroci, sublimi, e colpirci al cuore, ma diventano memorabili quando sono accompagnate da un pensiero. Per questo, durante la mia direzione abbiamo inventato Stories, una due giorni dove attori, scrittori, registi, artisti potevano raccontarsi in prima persona usando le loro parole, quelle che amavano, quelle che sentivano più vicine e che svelavano una parte intima di loro stessi. L’effetto è stato fantastico, le parole sono riapparse rivendicando la loro potenza e ribadendo che se non le troviamo, non le usiamo per decifrare i nostri sentimenti, le passioni che ci tormentano, i risentimenti che ci affliggono, ci resta solo la possibilità di agire, emulando le immagini, spesso violente che scorrono online senza interruzione. Se aboliamo il dialogo, il ragionamento, se crediamo che sia più importante fare che fermarci a riflettere, comprimiamo il tempo per capire, leggere, decifrare il nostro mondo interiore e coltivare il nostro linguaggio. Siamo spinti a seguire l’impulso perché, come dice il filosofo Umberto Galimberti, «non possiamo pensare una cosa di cui non abbiamo la parola». Ma i giornali hanno il potere di spezzare quello che sembra un percorso ineluttabile proprio usando le parole. Io ho creduto fortemente nella loro forza e ci credo ancora.