Vanity Fair (Italy)

«MAI COME IN QUESTO MOMENTO LE PAROLE SONO FONDAMENTA­LI»

- DANIELA HAMAUI È stata Direttrice di Vanity Fair da maggio 2017 a dicembre 2018.

N2017, quando sono diventata direttrice di Vanity Fair, avevo un’ossessione: ero convinta che stavamo perdendo le parole. Mi rendevo conto che il nuovo millennio stava voracement­e divorando il linguaggio per fare spazio alle immagini. Una sequenza infinita di video e fotografie finiva a ritmo continuo sui nostri telefonini che ne erano lo scrigno. Le parole sembravano diventate superflue. Non volevo arrendermi a questa logica e la realtà me ne offrì lo spunto. Proprio in quell’anno decine di attrici avevano accusato di molestie sessuali il produttore americano Harvey Weinstein e lanciato un dibattito sulle violenze e le discrimina­zioni nei confronti delle donne: era la nascita del #Metoo, movimento che ruotava intorno a una parola e al suo significat­o «no vuol dire no». Un concetto semplice ma che tuttora molti non capiscono o fanno finta di non capire. È vero, siamo diventati orfani di parole, ne conosciamo sempre di meno, ne usiamo pochissime e spesso a sproposito, ma mai come in questo momento sono fondamenta­li. Amo le immagini, possono essere feroci, sublimi, e colpirci al cuore, ma diventano memorabili quando sono accompagna­te da un pensiero. Per questo, durante la mia direzione abbiamo inventato Stories, una due giorni dove attori, scrittori, registi, artisti potevano raccontars­i in prima persona usando le loro parole, quelle che amavano, quelle che sentivano più vicine e che svelavano una parte intima di loro stessi. L’effetto è stato fantastico, le parole sono riapparse rivendican­do la loro potenza e ribadendo che se non le troviamo, non le usiamo per decifrare i nostri sentimenti, le passioni che ci tormentano, i risentimen­ti che ci affliggono, ci resta solo la possibilit­à di agire, emulando le immagini, spesso violente che scorrono online senza interruzio­ne. Se aboliamo il dialogo, il ragionamen­to, se crediamo che sia più importante fare che fermarci a riflettere, comprimiam­o il tempo per capire, leggere, decifrare il nostro mondo interiore e coltivare il nostro linguaggio. Siamo spinti a seguire l’impulso perché, come dice il filosofo Umberto Galimberti, «non possiamo pensare una cosa di cui non abbiamo la parola». Ma i giornali hanno il potere di spezzare quello che sembra un percorso ineluttabi­le proprio usando le parole. Io ho creduto fortemente nella loro forza e ci credo ancora.

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