CORTESIE DA TAVOLA
Buon appetito», esclamò il timido dottor Rossi, davanti a una tavola ricolma di tagliatelle al ragù e porcini, ricevendo in cambio solo gli sguardi gelidi di molti commensali, tali da raffreddare anche le portate successive. Qualcuno però sorrise e gli rispose. Ma allora, si dice o non si dice «Buon appetito?». Secondo alcuni recenti precetti (per esempio Csaba dalla Zorza), non v’è alcun dubbio, non si dice: è inutile o poco fine. Un tempo i signori si sedevano a tavola non per nutrirsi o rimpinzarsi, ma per colloquiare e intrattenersi, occasionalmente mangiando. Solo il padrone di casa, una volta all’anno, invitava tutti i suoi servi, famigli e contadini a un grande banchetto augurando loro «buon appetito», nel senso di un’autorizzazione a saziarsi a volontà. I tempi, però, sono cambiati e forse la bontà dei cibi può autorizzare qualche entusiasmo. Ma che dice a proposito il grande maestro Monsignor Della Casa nel suo fondamentale Galateo (1558)? Nulla sul punto, ma suggeriva invece altre attenzioni, come «non istà medesimamente bene a fregarsi i denti con la tovagliuola e meno col dito» (e men che meno con lo stuzzicadenti!). E neanche l’indimenticabile Donna Letizia, nel suo Il saper vivere (1960), si occupa dell’appetito, che suppone sempre presente, anche in quelli che non lo augurano.
Avvocato, esperta di storia della cucina e di arte del ricevere, cuoca appassionata e collezionista di testi dedicati alla gastronomia. Ha scritto il libro Dizionario irresistibile di storie in cucina (2021, Cairo).