Calenda e Insegno, eroi dell’insuccesso
Sono eroi capovolti gli ostinati di insuccesso. Ne parliamo perché sono personaggi d’alto pregio pedagogico, andrebbero mostrati nelle scuole per insegnare ai pupi che giocano con il veleno dei selfie e con il fuoco dei social, come il narcisismo senza se e senza ma intossichi l’identità e il ruolo di chi lo imbraccia, fabbricando pericolose tossine per sé e per gli altri.
Tra i molti, ne segnalo due assai illuminati dai riflettori della cronaca recente e dunque assediati dall’ombra del loro commovente insuccesso. Il primo è Carletto Calenda, tra i migliori della politica peggiore, capace di mettere in fuga un’intera fabbrica, le maestranze della Magneti Marelli, solo mostrandosi ai cancelli con la suadente minaccia: «Voglio parlare con voi».
Il secondo, tra i migliori della peggiore televisione, è Pino Insegno che, a forza di dirsi bravissimo, simpaticissimo, pimpantissimo, ha precipitato gli ascolti di Rai 2, solo mostrandosi con la sconcertante minaccia: «Voglio giocare con voi».
Il primo fa l’umorista involontario, credendosi un politico di sinistra che gioca al centro. L’altro fa volontariamente il politico di destra che pretende una seggiola in tv, perché gli spetta nella nuova lottizzazione, credendosi un comico.
Calenda è un volenteroso del danno. Reduce dalle numerose gag con il suo sparring partner Matteo Renzi, col quale allestisce un ti-amo-ti-odio, in stile Casa Vianello, con ovvio naufragio elettorale, ha voluto far di più. Molto di più. Arrivando al punto di scrivere e sceneggiare in proprio le future imitazioni che Maurizio Crozza gli dedica, con massimo successo di critica e di pubblico. Neppure i suoi formidabili autori avrebbero immaginato un Calenda che disperde un intero plotone di tute blu adottando la strategia buddista di rendersi compassionevole: «Davvero non mi volete parlare? Dove andate? Vi pare un buon metodo?». E per colmo lasciandosi riprendere, per tutta la penosa rincorsa, da una dozzina di telecamere appositamente convocate.
Identica parabola involontaria se l’è disegnata Pino Insegno. Prima sbandierando la sua amicizia con Giorgia Meloni, candidandosi a diventare il raccomandato di governo, l’artista di regime, l’escluso che finalmente si sarebbe vendicato dei molti soprusi subiti dalla critica di sinistra. Quindi predestinato a ottenere tutto dalla Rai, compresa la corona di presentatore del festival di Sanremo. Per poi ripiegare su un programma preserale da due lire, vecchio di trent’anni, Il Mercante in Fiera, sbagliando pure quello. Ma non per colpa sua, ci mancherebbe. Semmai per la vendetta dei giornalisti comunisti che lo volevano perdente a prescindere. E per la cattiveria dei colleghi che gli invidiano tutto, compresa la sua notevole commedia Gallina vecchia fa buon Broadway.
Morale: la nostra insonne società dello spettacolo offre, a (quasi) tutti, istanti di celebrità veri o illusori. Ma anche sentenze. Ignorarle moltiplica l’equivoco: dileguato l’x Factor, si diventa eroi del nulla, cascati malamente nello specchio.