Scenari di guerra:
COME FERMARE L’ESCALATION?
Quando le guerre sono tra due Stati, è facile stabilire il momento di inizio, tipo l’invasione dell’ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022. Ma quando le guerre coinvolgono molti Paesi diversi e una galassia di attori non statuali, come gruppi terroristici e milizie attive in conflitti civili relativamente lontani, chi può dire qual è il missile o il colpo di mortaio che innesca il conflitto generalizzato? Forse un missile di Hezbollah, la milizia che dal Sud del Libano perseguita Israele con i suoi attacchi a distanza. L’aviazione israeliana ha già reagito in questi giorni con azioni che hanno ucciso miliziani di Hezbollah, ma anche civili.
Dietro Hezbollah c’è l’iran, che usa i conflitti nella regione per destabilizzare le potenze concorrenti e rafforzare la propria influenza, così da puntellare una dittatura religiosa sempre sul punto di crollare. L’iran è il mandante anche dei missili sparati dalle milizie Houthi, nello Yemen, sempre diretti contro Israele, così come c’è l’iran alle spalle degli attacchi in Siria e in Iraq a obiettivi americani.
Il presidente Usa Joe Biden è stato in Israele per avvertire il premier israeliano Benjamin Netanyahu di non fare disastri a Gaza, ma anche per intimare all’iran di stare attento a quello che fa. Per rafforzare il messaggio, Biden ha schierato nell’area due portaerei e vari squadroni di caccia, mentre 2.000 soldati americani sono pronti a intervenire.
Basta poco, basta che un attacco di matrice iraniana costringa Israele ad aprire un secondo fronte oltre
Gaza, e che gli Stati Uniti si trovino costretti a intervenire a supporto. Elencare tutti i possibili grilletti che qualcuno – per scelta o per errore di calcolo – potrebbe premere e trasformare una tragedia in una catastrofe è più facile che rispondere alla domanda: che cosa può fermare l’escalation? Qui ci vuole più fantasia.
La prima mossa per ridurre la tensione sarebbe un chiarimento da parte di Israele su che cosa vuole fare di Gaza e, più in generale, dei palestinesi. Uccidere tutti i leader di Hamas casa per casa non risolve molto se non c’è un piano per il dopo. Egitto e Giordania non vogliono farsi carico di milioni di rifugiati, ma Israele non chiarisce chi amministrerà Gaza e che ruolo avrà la leadership palestinese in Cisgiordania.
La seconda mossa per ridurre la tensione sarebbe un’uscita di scena del premier israeliano Benjamin Netanyahu, molto contestato nei mesi scorsi e l’unica delle figure apicali del Paese che non si è preso alcuna responsabilità per i fallimenti nel sistema di difesa e di intelligence prima dell’attacco di Hamas.
La terza mossa sarebbe un’azione diplomatica dell’unione europea che non lasci agli Stati Uniti e alla forza militare il compito di gestire la tensione. Un mediatore servirebbe, ma la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel continuano a litigare su chi debba rappresentare la politica estera dell’ue. La storia non è mai indulgente con chi pensa alle prossime elezioni invece di lavorare per prevenire guerre e stragi di civili.