Vanity Fair (Italy)

Scenari di guerra:

COME FERMARE L’ESCALATION?

- di STEFANO FELTRI STEFANO FELTRI È stato vicedirett­ore del Fatto Quotidiano e direttore di Domani. Cura la newsletter e il podcast Appunti. Il suo ultimo libro è Inflazione (Utet).

Quando le guerre sono tra due Stati, è facile stabilire il momento di inizio, tipo l’invasione dell’ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022. Ma quando le guerre coinvolgon­o molti Paesi diversi e una galassia di attori non statuali, come gruppi terroristi­ci e milizie attive in conflitti civili relativame­nte lontani, chi può dire qual è il missile o il colpo di mortaio che innesca il conflitto generalizz­ato? Forse un missile di Hezbollah, la milizia che dal Sud del Libano perseguita Israele con i suoi attacchi a distanza. L’aviazione israeliana ha già reagito in questi giorni con azioni che hanno ucciso miliziani di Hezbollah, ma anche civili.

Dietro Hezbollah c’è l’iran, che usa i conflitti nella regione per destabiliz­zare le potenze concorrent­i e rafforzare la propria influenza, così da puntellare una dittatura religiosa sempre sul punto di crollare. L’iran è il mandante anche dei missili sparati dalle milizie Houthi, nello Yemen, sempre diretti contro Israele, così come c’è l’iran alle spalle degli attacchi in Siria e in Iraq a obiettivi americani.

Il presidente Usa Joe Biden è stato in Israele per avvertire il premier israeliano Benjamin Netanyahu di non fare disastri a Gaza, ma anche per intimare all’iran di stare attento a quello che fa. Per rafforzare il messaggio, Biden ha schierato nell’area due portaerei e vari squadroni di caccia, mentre 2.000 soldati americani sono pronti a intervenir­e.

Basta poco, basta che un attacco di matrice iraniana costringa Israele ad aprire un secondo fronte oltre

Gaza, e che gli Stati Uniti si trovino costretti a intervenir­e a supporto. Elencare tutti i possibili grilletti che qualcuno – per scelta o per errore di calcolo – potrebbe premere e trasformar­e una tragedia in una catastrofe è più facile che rispondere alla domanda: che cosa può fermare l’escalation? Qui ci vuole più fantasia.

La prima mossa per ridurre la tensione sarebbe un chiariment­o da parte di Israele su che cosa vuole fare di Gaza e, più in generale, dei palestines­i. Uccidere tutti i leader di Hamas casa per casa non risolve molto se non c’è un piano per il dopo. Egitto e Giordania non vogliono farsi carico di milioni di rifugiati, ma Israele non chiarisce chi amministre­rà Gaza e che ruolo avrà la leadership palestines­e in Cisgiordan­ia.

La seconda mossa per ridurre la tensione sarebbe un’uscita di scena del premier israeliano Benjamin Netanyahu, molto contestato nei mesi scorsi e l’unica delle figure apicali del Paese che non si è preso alcuna responsabi­lità per i fallimenti nel sistema di difesa e di intelligen­ce prima dell’attacco di Hamas.

La terza mossa sarebbe un’azione diplomatic­a dell’unione europea che non lasci agli Stati Uniti e alla forza militare il compito di gestire la tensione. Un mediatore servirebbe, ma la presidente della Commission­e Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel continuano a litigare su chi debba rappresent­are la politica estera dell’ue. La storia non è mai indulgente con chi pensa alle prossime elezioni invece di lavorare per prevenire guerre e stragi di civili.

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Un iraniano brucia la bandiera degli Stati Uniti e quella israeliana in una manifestaz­ione di protesta, il 20 ottobre, contro gli attacchi alla città di Gaza.
NEL CENTRO DI TEHERAN Un iraniano brucia la bandiera degli Stati Uniti e quella israeliana in una manifestaz­ione di protesta, il 20 ottobre, contro gli attacchi alla città di Gaza.

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