Un pacifismo consapevole
«Per capire e far cessare l’orrore della guerra è necessario riportarla nel suo alveo naturale, in quella condizione che ne consente un’analisi lucida e spietata: IL MITO E GLI DÈI. In fondo, Venere e Marte sono amanti»
Il vero problema dell’umanità», ha scritto il biologo E. O. Wilson, «è che abbiamo: emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologie futuristiche». Meglio ancora: il vero problema dell’umanità è che abbiamo tecnologie futuristiche che approfittano di istituzioni medievali per abusare delle nostre emozioni paleolitiche.
Lo Stato, le istituzioni, i sindacati, i filtri ideati nei millenni per proteggere l’umano dalle passioni proprie e da quelle altrui, sono oggi più che mai usurati, e il mito della crescita governa un mondo dominato dalla tecnica.
La tesi radicale di James Hillman, grande psicologo e filosofo del Novecento, è che la guerra si sia imposta tanto nell’ordinario quanto nel nostro immaginario perché abbiamo smesso di affrontarla davvero. In questo modo si è fatta più sottile e pervasiva: convinti di essere i buoni e i giusti, di essere al di sopra delle passioni brutali, abbiamo cominciato a pensarci migliori di chi ci ha preceduto per il semplice fatto che veniamo «dopo» di loro. Hillman invitava piuttosto a scavare nel nostro immaginario. Per capire e far cessare l’orrore della guerra è necessario riportarla nel suo alveo naturale, in quella condizione che ne consente un’analisi lucida e spietata: il mito e gli dèi.
In un momento in cui catastrofi accidentali e intenzionali incombono sulla nostra testa e sul Pianeta, dobbiamo «immaginare altre modalità in cui la civiltà possa normalizzare la furia marziale, dare legittimo spazio all’inumano autonomo e apertura al sublime». La guerra produce, infatti, passioni intensissime: imparare a farsi abitare dalle passioni della guerra con quella stessa intensità ma al di fuori della violenza è uno degli scopi principali dell’arte e della filosofia. Come ha scritto Hillman, infatti, le guerre testimoniano qualcosa che trascende ciò che siamo, ed evocano potenze che sfuggono alla nostra comprensione. È per questo motivo, spiega il grande pacifista americano, che non possiamo limitarci a dirci «contro la guerra»: dobbiamo decostruire la nostra mente bloccata, «aprire una via di fede con la nostra rabbia e la nostra paura, stimolare i sensi anestetizzati: questa è militanza psichica nella forma più intensa». Affrontare ciò che ci abita, senza rinnegarlo ma imparando a dargli forma. Bisogna quindi conoscere e non negare la pulsione guerresca che ci abita, perché «la guerra appartiene alla nostra anima in quanto verità archetipica del cosmo». In fondo, Venere e Marte sono amanti, ed escludere l’uno significa abbandonare l’altra.
La guerra è dentro di noi, ci abita tanto quanto noi abitiamo lei. È parte integrante dell’essere umano: da una prospettiva pacifista e non-violenta abbiamo l’opportunità di comprendere che siamo abitati anche da archetipi ed energie marziali, che attraverso l’analisi del sé e del mito possiamo incanalare in occasioni di fioritura. A patto di non negarli, di non fingere che siano un’esclusiva del nostro nemico, dell’altro da noi.