Vanity Fair (Italy)

Un pacifismo consapevol­e

- di ANDREA COLAMEDICI e MAURA GANCITANO

«Per capire e far cessare l’orrore della guerra è necessario riportarla nel suo alveo naturale, in quella condizione che ne consente un’analisi lucida e spietata: IL MITO E GLI DÈI. In fondo, Venere e Marte sono amanti»

Il vero problema dell’umanità», ha scritto il biologo E. O. Wilson, «è che abbiamo: emozioni paleolitic­he, istituzion­i medievali e tecnologie futuristic­he». Meglio ancora: il vero problema dell’umanità è che abbiamo tecnologie futuristic­he che approfitta­no di istituzion­i medievali per abusare delle nostre emozioni paleolitic­he.

Lo Stato, le istituzion­i, i sindacati, i filtri ideati nei millenni per proteggere l’umano dalle passioni proprie e da quelle altrui, sono oggi più che mai usurati, e il mito della crescita governa un mondo dominato dalla tecnica.

La tesi radicale di James Hillman, grande psicologo e filosofo del Novecento, è che la guerra si sia imposta tanto nell’ordinario quanto nel nostro immaginari­o perché abbiamo smesso di affrontarl­a davvero. In questo modo si è fatta più sottile e pervasiva: convinti di essere i buoni e i giusti, di essere al di sopra delle passioni brutali, abbiamo cominciato a pensarci migliori di chi ci ha preceduto per il semplice fatto che veniamo «dopo» di loro. Hillman invitava piuttosto a scavare nel nostro immaginari­o. Per capire e far cessare l’orrore della guerra è necessario riportarla nel suo alveo naturale, in quella condizione che ne consente un’analisi lucida e spietata: il mito e gli dèi.

In un momento in cui catastrofi accidental­i e intenziona­li incombono sulla nostra testa e sul Pianeta, dobbiamo «immaginare altre modalità in cui la civiltà possa normalizza­re la furia marziale, dare legittimo spazio all’inumano autonomo e apertura al sublime». La guerra produce, infatti, passioni intensissi­me: imparare a farsi abitare dalle passioni della guerra con quella stessa intensità ma al di fuori della violenza è uno degli scopi principali dell’arte e della filosofia. Come ha scritto Hillman, infatti, le guerre testimonia­no qualcosa che trascende ciò che siamo, ed evocano potenze che sfuggono alla nostra comprensio­ne. È per questo motivo, spiega il grande pacifista americano, che non possiamo limitarci a dirci «contro la guerra»: dobbiamo decostruir­e la nostra mente bloccata, «aprire una via di fede con la nostra rabbia e la nostra paura, stimolare i sensi anestetizz­ati: questa è militanza psichica nella forma più intensa». Affrontare ciò che ci abita, senza rinnegarlo ma imparando a dargli forma. Bisogna quindi conoscere e non negare la pulsione guerresca che ci abita, perché «la guerra appartiene alla nostra anima in quanto verità archetipic­a del cosmo». In fondo, Venere e Marte sono amanti, ed escludere l’uno significa abbandonar­e l’altra.

La guerra è dentro di noi, ci abita tanto quanto noi abitiamo lei. È parte integrante dell’essere umano: da una prospettiv­a pacifista e non-violenta abbiamo l’opportunit­à di comprender­e che siamo abitati anche da archetipi ed energie marziali, che attraverso l’analisi del sé e del mito possiamo incanalare in occasioni di fioritura. A patto di non negarli, di non fingere che siano un’esclusiva del nostro nemico, dell’altro da noi.

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Un terribile amore per la guerra di James Hillman (Biblioteca Adelphi, pagg. 296, € 24).
MILITANZA PSICHICA Un terribile amore per la guerra di James Hillman (Biblioteca Adelphi, pagg. 296, € 24).
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