di FRANCESCO BONAMI La missione di Luisa Menazzi Moretti:
MAI ABITUARSI ALLA MORTE
Le carneficine indiscriminate che occupano le cronache oggi riducono la morte a numeri. Fa parte dell’astratta assurdità di ogni guerra alla quale, se non ne siamo partecipi direttamente, finiamo tragicamente per abituarci. La fotografa Luisa Menazzi Moretti (Ma. Co.f, Brescia, fino al 24 dicembre) concentra le sue immagini su un altro numero, non legato alla morte ma alla vita, 3737, che rappresenta la media dei giorni che un condannato a morte passa nel carcere di Livingstone in Texas, nella solitudine del braccio della morte della Polunsky Unit, in attesa della propria esecuzione capitale. Dieci anni e 87 giorni ad aspettare la morte, condizione ancora più agghiacciante se si pensa che avviene in un Paese democratico come gli Stati Uniti. Non solo il criminale è condannato al crimine legalizzato della pena di morte, ma è anche condannato alla interminabile pena di attendere la morte, spesso in totale solitudine, isolato dal mondo esterno. Le fotografie di Menazzi Moretti partono dalle lettere e dagli appunti dei condannati scritti durante questo crudele stand by. Perché quando si decide di ammazzare qualcuno legalmente non lo si fa in fretta e furia, si segue un meticoloso processo giuridico e democratico per consentire, sia al criminale/vittima sia a quelli che si oppongono alla pena capitale, di intraprendere l’iter burocratico necessario per poter dar vita a qualche remota speranza. Le parole, diventando immagini, danno a queste un senso che altrimenti potrebbero perdere nella muta atrocità del bello di cui purtroppo la storia dell’umanità è piena. Immagini da ascoltare attorniate dal silenzio di innocenti e colpevoli. Una condizione che ci soffoca nella sua totale attualità. Così, mentre parliamo e sparliamo di diritti umani e disumani, rischiamo di scordare i torti fatti e rifatti dagli umani in tempi ahimè nemmeno tanto lontani, anzi paurosamente vicini.