I have A DREAM
Il regista di Hong Kong torna a Hollywood con un action natalizio. Ma sogna di girare una love story
Pochi hanno influenzato il cinema mondiale come John Woo. I suoi film di culto girati negli anni ’80 – da A Better Tomorrow a The Killer – hanno ispirato altrettanti cult hollywoodiani (uno su tutti, Matrix), introducendo l’idea che i villain potessero avere un codice d’onore e che i duelli e le sparatorie potessero essere eleganti al pari dei balletti. Poi, lo stesso John Woo ha conquistato l’america: ha girato lì i campioni d’incasso Face/off e Mission: Impossible 2. E ora torna a dirigere una produzione made in Usa attingendo alla tradizione tipicamente locale dell’action natalizio. Silent Night - Il silenzio della vendetta, dal 30 novembre nelle sale, racconta di un padre che dà la caccia agli assassini del figlio, freddato il giorno della Vigilia. La particolarità di questo lavoro? Non ci sono dialoghi. Se non fosse chiaro, i personaggi non parlano.
L’idea di un film senza battute è molto suggestiva.
«Concordo: suggestiva e sfidante. Quello che succede al protagonista, un uomo comune che perde il figlio e la voce a causa di una sparatoria tra gangster, potrebbe accadere a chiunque, quindi ho preferito un approccio realista, con riprese che si soffermano sulle espressioni dei volti, sul dolore che traspare dagli sguardi».
Trovare l’interprete giusto deve essere stato più importante che mai...
«È stato fondamentale. Serviva un attore che non sembrasse un supereroe o un superguerriero. Joel Kinnaman si è rivelato perfetto».
Dagli anni ’80 lei è un regista molto influente. Tante cose sono cambiate da allora, anche il cinema.
«A essere onesti, non guardo molte produzioni recenti. Non mi interessano i film della Marvel e nemmeno quelli di fantascienza. Ogni anno preferisco rivedere vecchi capolavori della Nouvelle Vague, di Akira Kurosawa, Stanley Kubrick e Michelangelo Antonioni. Per quanto riguarda le mie opere, non importa quanto sia cambiato il mondo o il pubblico: restano fedeli a sé stesse e a quello in cui credo, ovvero gli individui. Ovviamente mi piace girare film ricchi di azione, ma al loro centro ci deve sempre essere un dramma umano».
Che cosa significa per lei essere un regista?
«È qualcosa di irrinunciabile. Non avrei saputo fare altro nella vita! Ogni volta che dirigo, è come se stessi mandando un sms a un amico. E dopo aver finito un film, mi sento di avere tantissimi amici in tutto il mondo con i quali comunico come in una chat».
Nei suoi lavori non ci sono eroine femminili: come mai?
«Non è più così: per la prima volta in assoluto la protagonista di un mio lavoro sarà un’eroina. Sto realizzando il remake del mio The Killer, e al posto di un sicario uomo nella parte principale ci sarà una donna assassina. Da tempo ero interessato ad avere protagoniste femminili e ci avevo già provato: avevo proposto ai produttori di Face/off del 1997 di girare un sequel con due donne al posto di John Travolta e Nicolas Cage, ma non avevano accettato».
Ha tre figli grandi e un Leone d’oro alla carriera: che cosa le manca ancora?
«Voglio dirigere una grande storia d’amore. Questo è il mio sogno».