Diritti: non smettiamo mai di fare casino
La settimana scorsa, poco prima che uscisse il suo saggio postumo intitolato Dare la vita (Rizzoli), tre quotidiani hanno pubblicato anticipazioni con la sua firma: Michela Murgia. E per un attimo abbiamo avuto l’illusione che Michela fosse ancora qui, con noi, a commentare il mondo. Anche perché i temi di cui tratta il libro sono di grande attualità, come il capitolo sulla gestazione per altri che proprio pochi giorni fa Papa Bergoglio ha condannato durante il ricevimento degli ambasciatori alla Santa Sede. Per me Michela Murgia c’è sempre. Sento la sua voce dolce senza bisogno di riascoltare i suoi podcast o i suoi messaggi, e spero di non dimenticarla mai, così come da quando l’ho incontrata quasi vent’anni fa non ho più potuto dimenticare la sua abbagliante lucidità. Dare la vita si può riassumere in questa frase dell’introduzione: «Forse la mia vocazione a essere me consiste proprio nel domandarmi… chi sia una madre e mai di chi sia; nel non rassegnarmi all’idea di famiglia a cui mi avrebbero destinata la mera biologia e le leggi dello Stato».
E la strada che ci indica sta in queste parole: «Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino». Allora facciamolo questo casino. Per esempio tenendo sempre conto quanto ci sia di pericoloso − di solito lo si capisce a vent’anni e a sessanta ma in mezzo lo si rimuove − nel concetto italico di famiglia. Come disse Roberto Saviano quando alla domanda «Quando finiranno le mafie?» rispose «Quando l’umanità troverà nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite». Insomma: quando finiranno le famiglie, almeno nell’accezione più deleteria e «mafiosa» del termine. Grazie Michela per ricordarcelo: non smettiamo mai di far casino.