Vanity Fair (Italy)

Un Paese libero

- di SIMONE MARCHETTI Buona lettura

Che cos’è la libertà? E che cosa significa vivere in un Paese libero? Faccio un passo indietro nel tempo. 1983. New York. Un ragazzo italiano è alla sua prima volta negli Stati Uniti: ha poco più di vent’anni ed è in fila per acquistare un biglietto del cinema in una strada di Manhattan. Davanti a lui, disposte in un disordine che gli sembra bellissimo, ci sono tante persone. Uomini abbracciat­i a donne, uomini abbracciat­i a uomini, due donne che si baciano tenerament­e, neri, bianchi, ispanici, asiatici. E non è tanto la moltitudin­e di diversità a colpirlo: ciò che lo impression­a è piuttosto il fatto che nessuno dei passanti faccia caso a quella fila piena di colori e unicità. È tutto normale. È tutto giusto così.

2024, quarantuno anni dopo, potete vedere quel ragazzo su questa copertina di Vanity Fair: è Amadeus e lo incontriam­o mentre sta facendo le ultime prove del suo quinto Festival di Sanremo.

In questi anni, il suo Festival ha fatto discutere, ha attirato critiche ma soprattutt­o ha riportato milioni di telespetta­tori davanti alla tv e ancora di più collegati ventiquatt­r’ore al giorno al web e ai social per commentarl­o. La gara canora più polverosa si è trasformat­a nella notte italiana degli Oscar: un fenomeno di costume e cultura che è anche un manifesto di libertà, una possibilit­à d’espression­e e di espression­i (ci trovi il cantante più progressis­ta e la soubrette più conservatr­ice) che racconta che cos’è o, meglio, che cosa dovrebbe essere un Paese libero.

E poi c’è il Paese, appunto. Un Paese dove la politica al potere produce un sindaco che sembra spuntato dal giurassico e che non si vergogna di usare un linguaggio che è frutto del patriarcat­o più bieco. O dove esponenti delle istituzion­i si riferiscon­o alla legittima possibilit­à di interrompe­re la gravidanza con frasi come «sì, è un diritto… purtroppo», oppure, addirittur­a, negando questo diritto conquistat­o con grande fatica.

Però (e grazie a Dio) questo è anche il Paese dove un prodigio come Jannik Sinner scrive la storia del tennis italiano e vince gli Austrialia­n Open ringrazian­do i suoi genitori per averlo lasciato libero di essere chi voleva essere. Senza proiettare su di lui i loro desideri e senza aver paura dei suoi di desideri («lasciare casa a 14 anni è stata dura», ha dichiarato, «ringrazio i miei genitori perfetti»).

Grazie Amadues. Grazie Jannik Sinner. Grazie perché ci fate capire che cos’è un Paese libero. E quali siano i sogni che servono per unirlo e per costruirlo.

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