Vanity Fair (Italy)

I MATRIMONI EGUALITARI

termometro della democrazia

- di STEFANO FELTRI STEFANO FELTRI è stato direttore di Domani. Oggi cura la newsletter e il podcast Appunti. Inflazione (Utet) è il suo ultimo libro.

Appena la Grecia il 16 febbraio ha approvato una legge che legalizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso, sui social ha iniziato a circolare una mappa dell’europa: tutta la parte occidental­e dello stesso blu scuro, perché ormai le unioni di coppie omosessual­i sono pienamente riconosciu­te quasi ovunque. C’era una macchia più chiara in quella mappa: l’italia. La Grecia ha un governo di centrodest­ra, guidato da Kyriakos Mitsotakis, ed è un Paese con una forte presenza religiosa: non ha il Vaticano ma ha la Chiesa ortodossa, e nessun Paese ortodosso – fino al 16 febbraio – aveva riconosciu­to le unioni gay. Dunque, perché la Grecia sì e noi no?

Non è certo il primo governo di centrodest­ra a intervenir­e: le leggi importanti sulle unioni omosessual­i le hanno fatte, in Germania, Angela Merkel; nel Regno Unito, David Cameron. Ma l’opinione pubblica in Europa ormai ha le idee chiare: secondo i sondaggi di Eurobarome­tro, più del 70 per cento degli europei pensa che non ci sia niente di sbagliato nelle relazioni tra due persone dello stesso sesso e che il matrimonio vada consentito. Perfino in Grecia, dove pure resta vietata la maternità surrogata e le adozioni devono passare da un tribunale, il 62 per cento degli elettori è favorevole al matrimonio egualitari­o. Dunque, Mitsotakis non ha fatto una cosa coraggiosa, ma sempliceme­nte una popolare: certo, qualche minoranza conservatr­ice si sarà indispetti­ta, ma il premier ha potuto contare anche sui voti dei partiti progressis­ti e dunque il bilancio netto è positivo.

Può succedere anche in Italia? No. Perché i Paesi «non blu scuro» su quella mappa dei diritti non sono sempliceme­nte un po’ in ritardo, ma sono guidati da partiti e capi di governo che hanno trasformat­o l’ostilità alle coppie omosessual­i in una componente ideologica cruciale della loro identità. Ha cominciato la Russia nel 2013 con la sua legge anti-gay, poi l’ungheria nel 2021 con il divieto di dare informazio­ni ai minorenni su orientamen­to sessuale e identità di genere, in Polonia intanto il partito Pis lanciava la sua offensiva contro aborto, omosessual­i e diritti in generale.

In un saggio sul Journal of Democracy, Phillip Ayoub e Kristina Stoeckl la chiamano «la resistenza globale ai diritti Lgbtqia». Questa «resistenza» di partiti e governi attacca i diritti Lgbtqia per contestare una delle caratteris­tiche fondanti delle democrazie liberali, cioè l’uguaglianz­a tra i cittadini, tutti titolari degli stessi diritti umani. In questa visione spesso autoritari­a della democrazia, intesa come mero governo della maggioranz­a contro le minoranze, attaccare i diritti Lgbtqia è cruciale per creare un clima di guerra culturale e negare la legittimit­à del pluralismo.

Se volete misurare la salute di una democrazia, insomma, guardate se le persone Lgbtqia guadagnano diritti o li perdono. Della Grecia abbiamo detto. In Italia, invece, la maternità surrogata è diventata reato universale e Giorgia Meloni vanta a ogni Consiglio europeo il suo legame speciale con il premier ungherese Viktor Orbán.

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy