I MATRIMONI EGUALITARI
termometro della democrazia
Appena la Grecia il 16 febbraio ha approvato una legge che legalizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso, sui social ha iniziato a circolare una mappa dell’europa: tutta la parte occidentale dello stesso blu scuro, perché ormai le unioni di coppie omosessuali sono pienamente riconosciute quasi ovunque. C’era una macchia più chiara in quella mappa: l’italia. La Grecia ha un governo di centrodestra, guidato da Kyriakos Mitsotakis, ed è un Paese con una forte presenza religiosa: non ha il Vaticano ma ha la Chiesa ortodossa, e nessun Paese ortodosso – fino al 16 febbraio – aveva riconosciuto le unioni gay. Dunque, perché la Grecia sì e noi no?
Non è certo il primo governo di centrodestra a intervenire: le leggi importanti sulle unioni omosessuali le hanno fatte, in Germania, Angela Merkel; nel Regno Unito, David Cameron. Ma l’opinione pubblica in Europa ormai ha le idee chiare: secondo i sondaggi di Eurobarometro, più del 70 per cento degli europei pensa che non ci sia niente di sbagliato nelle relazioni tra due persone dello stesso sesso e che il matrimonio vada consentito. Perfino in Grecia, dove pure resta vietata la maternità surrogata e le adozioni devono passare da un tribunale, il 62 per cento degli elettori è favorevole al matrimonio egualitario. Dunque, Mitsotakis non ha fatto una cosa coraggiosa, ma semplicemente una popolare: certo, qualche minoranza conservatrice si sarà indispettita, ma il premier ha potuto contare anche sui voti dei partiti progressisti e dunque il bilancio netto è positivo.
Può succedere anche in Italia? No. Perché i Paesi «non blu scuro» su quella mappa dei diritti non sono semplicemente un po’ in ritardo, ma sono guidati da partiti e capi di governo che hanno trasformato l’ostilità alle coppie omosessuali in una componente ideologica cruciale della loro identità. Ha cominciato la Russia nel 2013 con la sua legge anti-gay, poi l’ungheria nel 2021 con il divieto di dare informazioni ai minorenni su orientamento sessuale e identità di genere, in Polonia intanto il partito Pis lanciava la sua offensiva contro aborto, omosessuali e diritti in generale.
In un saggio sul Journal of Democracy, Phillip Ayoub e Kristina Stoeckl la chiamano «la resistenza globale ai diritti Lgbtqia». Questa «resistenza» di partiti e governi attacca i diritti Lgbtqia per contestare una delle caratteristiche fondanti delle democrazie liberali, cioè l’uguaglianza tra i cittadini, tutti titolari degli stessi diritti umani. In questa visione spesso autoritaria della democrazia, intesa come mero governo della maggioranza contro le minoranze, attaccare i diritti Lgbtqia è cruciale per creare un clima di guerra culturale e negare la legittimità del pluralismo.
Se volete misurare la salute di una democrazia, insomma, guardate se le persone Lgbtqia guadagnano diritti o li perdono. Della Grecia abbiamo detto. In Italia, invece, la maternità surrogata è diventata reato universale e Giorgia Meloni vanta a ogni Consiglio europeo il suo legame speciale con il premier ungherese Viktor Orbán.