L’arte e il dilemma della tolleranza
Nel contesto contemporaneo, caratterizzato da tensioni geopolitiche crescenti, l’arte si trova spesso al centro di dibattiti sull’esclusione e l’inclusione. La decisione di escludere artisti in base alle politiche dei loro Paesi d’origine solleva questioni etiche profonde: l’arte possiede un potere unico di trasmettere messaggi complessi, suscitare empatia e favorire il dialogo interculturale. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Cultural Trends nel 2020 ha evidenziato come progetti artistici internazionali che coinvolgono persone di nazioni in conflitto possano abbattere barriere psicologiche e promuovere la comprensione reciproca.
Non si tratta, quindi, solo di raccontare una storia, quanto di offrire gli strumenti per proseguire insieme una nuova narrazione. Questi progetti dimostrano la capacità dell’arte di superare le divisioni geopolitiche e di fungere da ponte tra comunità diverse. Ma la questione dell’esclusione degli artisti, soprattutto in contesti dove i governi si stanno macchiando di gravi crimini, può trovare un’interessante giustificazione nel Paradosso della Tolleranza, formulato dal filosofo Karl Popper. Il Paradosso pone un dilemma: per mantenere una società tollerante è necessario porre dei limiti alla tolleranza stessa, in particolare nei confronti di chi è intollerante.
Applicato al contesto dell’arte, questo principio suggerisce che l’esclusione di artisti o opere di Stati specifici, quando questi ultimi sono coinvolti in azioni gravemente lesive dei diritti umani o in altri crimini internazionali, potrebbe non solo essere giustificabile ma talvolta necessaria. La logica sta nel proteggere lo spazio dell’arte come un luogo di dialogo aperto, inclusione e tolleranza, prevenendo che diventi un veicolo per legittimare o normalizzare comportamenti intollerabili su scala statale. Tuttavia, l’applicazione del Paradosso della Tolleranza nel contesto dell’arte solleva questioni complesse. In primis, come distinguere tra la punizione di un regime e la penalizzazione degli individui che potrebbero non essere direttamente coinvolti o addirittura contrari alle politiche del loro governo? E poi, come assicurare che tale esclusione non precluda la possibilità di un dialogo critico che potrebbe contribuire a un cambiamento positivo?
Si tratta, allora, di distinguere tra l’esclusione di rappresentazioni ufficiali di Stati che si macchiano di gravi crimini e il sostegno agli artisti indipendenti di quelle nazioni, specie quelli che si oppongono alle azioni scellerate dei loro governi. In questo modo, si mantiene lo spazio artistico aperto al dialogo e alla critica, evitando al contempo di offrire una piattaforma a regimi intolleranti.
La sfida, quindi, è sviluppare un’etica dell’inclusione che riconosca l’arte come un terreno neutrale per il confronto e la comprensione. Gli organizzatori di eventi artistico-culturali, i curatori e il pubblico hanno la responsabilità di valutare criticamente le implicazioni delle loro scelte.