Mai desiderare TROPPO
È quello che Mads Mikkelsen ha imparato dall’ultimo lavoro e dalla carriera, «iniziata tardi, per fortuna»
Non stupisce che Mads Mikkelsen venga spesso scelto per interpretare il cattivo. È successo in Casino Royale della saga di James Bond, in Doctor Strange dell’universo Marvel, nello spinoff di Star Wars Rogue One e nella serie Hannibal in cui era, ovvio, il serial killer. Il fatto è che anche di persona è affascinante e intimidente al tempo stesso. Così, persino nel film La terra promessa, nelle sale dal 14 marzo, parte buono e si trasforma in un mostro per inseguire un sogno che diventa ossessione. Siamo nel Settecento e Ludvig Kahlen, ex capitano dell’esercito danese, decide di coltivare la brughiera dello Jutland, inospitale penisola del Nord Europa, con l’obiettivo di ottenere un titolo nobiliare. Il lavoro di Nikolaj Arcel, che parla dei rischi della determinazione a ogni costo, è nato da una riflessione del regista suscitata dalla paternità. «Le priorità cambiano, lo capisco benissimo», dice Mikkelsen, padre a sua volta di Viola, 32 anni, e Carl, 27, avuti dalla moglie Hanne Jacobsen, attrice anche lei. «Loro mi hanno reso una persona migliore».
In che senso?
«Ricordo come mi sentivo quando studiavo recitazione. Ero lì in mezzo a tutti quei giovani che non desideravano altro che fare gli attori. Finisci per essere concentrato solo su te stesso, diventi egoista e presuntuoso. Ma se sei disposto a “uccidere” per qualcosa, quel qualcosa finirà per uccidere te».
Ha mai sacrificato la famiglia per il lavoro?
«Quando i miei figli erano piccoli molte volte avrei preferito rimanere con loro piuttosto che andare sul set.
Ogni tanto chiedo a mia moglie se le va di raggiungermi: avere lei vicino rende tutto più divertente».
Ha deciso di fare l’attore verso i trent’anni dopo un decennio come ballerino.
«Non riesco a immaginare che cosa sarebbe successo se fossi diventato famoso da ragazzo. Quando sei giovane, rischi di credere a chi ti dice che sei un dio. E non è una cosa buona per la tua salute mentale».
Dove sta per lei l’equilibrio tra dedizione e ossessione?
«Devi dare il massimo per il progetto, ma senza mai pensare: “Oh è la svolta”. Io sono molto testardo quando si tratta di ragionare sulla sceneggiatura, sui personaggi. Sono un appassionato di Storia e a proposito di una scena nella Terra promessa ho detto a Nikolaj: “Capisco che il pubblico si debba riconoscere, ma nessuno a quei tempi si sarebbe baciato”».
Le è capitato di sbagliare?
«Sul set di Un altro giro (Oscar come miglior film in lingua straniera nel 2012, ndr) ho discusso non so quante volte con il regista per il ballo finale. Secondo me non aveva senso in un film realista. A quanto pare aveva ragione lui, visto che è la scena che tutti ricordano».