THIS HAIR OF MINE, by Vittoria Filippi Gabardi.
MORBIDO, NON CRESPO, by Susanna Macchia.
Sono un antidoto alla società liquida. L’antitesi dell’individualismo sfrenato in cui Zygmunt Bauman vede la modernità fondersi senza appiglio. Le acconciature africane, quel modo unico di tagliare, legare, intrecciare, decorare e dipingere i capelli, sono una resistenza a rivoluzioni ineluttabili, una sorta di traghetto tra la tradizione e un presente ancora senza nome. J.D. ’Okhai Ojeikere, forse l’artista africano più celebre in assoluto (scomparso nel 2014), in 50 anni di carriera compone un portfolio fotografico di oltre 2.000 “Hairstyles”: teste in bianco e nero, back to front, che esplicitano la comunicazione non verbale delle tribù, manifestano gerarchie sociali, età e stato civile. Parlano un linguaggio simbolico, muto e ancestrale, documentato in quanto baluardo contro la dispersione seguita al postcolonialismo. Scatti ora in mostra alla Fondation Louis Vuitton, inseriti nella grande retrospettiva “Art/Afrique, le nouvel atelier”, un invito «a tutti gli artisti africani a condividere la loro visione del mondo e dell’umanità, e a ragionare sul futuro», spiega il presidente della fondazione Bernard Arnault. A Lecce, invece, la giovane fotografa sudanese Atong Atem riflette su esodo e identità con “The Studio Series”. Attraverso i ritratti dei migranti africani che vivono in Australia come lei esplora la cultura iconografica e la storia del suo continente: i protagonisti hanno decori, trecce e codini intessuti di differenze geografiche e culturali. A Brooklyn Cyndia Harvey fa partire proprio dai capelli un’ulteriore indagine sulla diaspora causata da schiavitù e migrazione. I suoi lavori, esposti nella collettiva di Red Hook Labs, densi e saturi di colore, sono frames di “This Hair of Mine”, cortometraggio che celebra la forza, l’orgoglio e la bellezza delle capigliature afro e diventa un omaggio alle proprie radici. La fotografa giamaicana, che di professione fa anche l’hair stylist, riproduce con meticolosa abilità antiche acconciature ripercorrendo storie e mitologie personali: un modo di esorcizzare un passato doloroso, che non si vuole dimenticare, attraverso l’impressione di un altro tempo, forse più prezioso, certamente più intimo. Oltre l’arte lo stile afro torna nelle campagne moda firmate da Gucci e da Kenzo, e sfila sulle passerelle: per l’autunno/inverno Andrew GN ha teste piene di treccine, e Balmain propone un look tribale e arcaico. «C’è la voglia di tornare alle origini, ripartire dalla terra, è il mood di adesso. La sostanza è antropologica: nei capelli c’è la tendenza a rifarsi alla black culture con giochi incredibili e aderenze grafiche che diventano acconciature sorprendenti», spiega Salvo Filetti, direttore creativo di Compagnia della Bellezza-L’Oréal Professionnel. «Una grande fonte di ispirazione, per me, in questo senso, è la cantante britannica FKA Twigs, una delle figure soul più interessanti della scena musicale contemporanea. I suoi hair styles sembrano sculture, ricami e intarsi tradizionali.
I n apertura. Un’opera di J. D. ‘Okhai Ojeikere, “Mkpuk Eba”, 1974, dalla mostra “Art/Afrique, le nouvel atelier”, alla Fondation Louis Vuitton. In questa pagina e nella pagina precedente. Frame tratti dal video “This Hair of Mine” di Cyndia Harvey, dalla mostra “Nataal: New African Photography I I ”, Red Hook Labs, curata da Nataal, co-founders Helen Jennings e Sara Hemming, e Jimmy Moffat founder di Red Hook Labs. Sotto. Un’immagine dalla mostra “The Studio Series” di Atong Atem. Ma non solo, è black wave anche dal punto di vista delle texture: da una parte si vuole esasperare l’effetto etnico e allora si lavora la fibra con cere che tolgono il crespo disegnando architetture pulitissime. Dall’altro si tende a cotonare e opacizzare con polveri minerali che gonfiano la consistenza del capello esasperando l’effetto frisé». Lo dice anche Eugene Souleiman, global creative director care & styling per Wella: «Sempre più ragazze accettano ed enfatizzano la natura del proprio capello, anzi la elevano a uno statement. Non hanno più paura di fare qualcosa di nuovo». Allo stesso modo l’industria cosmetica celebra la diversità: fondotinta gender free, prodotti halal, kosher, vegan, per tutte le varie etnie, usi e costumi. A testimonianza del multiculturalismo estetico di una società fluida e globale.