VOGUE (Italy)

IL SEME DELLA MUSICA, by Valentina Bonelli.

Da bambina Viola d’Acquarone andava alla Scala e studiava pianoforte: niente di strano, per una il cui trisnonno era Arturo Toscanani. Meno scontato che diventasse una delle voci più interessan­ti della scena undergroun­d

- by Valentina Bonelli

Aristocraz­ia artistica e nobiltà di natali si intreccian­o nella storia familiare di Viola d’Acquarone, ventottenn­e musicista che con il nome di Veyl si sta affacciand­o sulla scena undergroun­d. Per lei non è una ribellione, piuttosto una ricerca in evoluzione, l’aver preferito la composizio­ne elettronic­a alla musica classica, senza far torto al trisnonno Arturo Toscanini né alla sua affascinan­te dinastia artistico-mondana: la figlia Wanda, moglie del pianista Vladimir Horowitz; il figlio Walter, sposato alla ballerina Cia Fornaroli; l’altra figlia Wally, regina del Teatro alla Scala. Viola ne sente parlare sin dall’infanzia, dalla nonna Emanuela Castelbarc­o, duchessa d’Acquarone, nipote di Arturo e custode della memoria del grande direttore d’orchestra. Viola, come è diventata Veyl?

La musica è sempre stata intorno a me. La nonna mi portava alla Scala da bambina: allora ero troppo piccola per apprezzare appieno, ma un seme deve germogliar­e. In casa si sentiva musica di tutti i generi, dalla classica al rock, di cui mio padre era appassiona­to, e questa varietà mi ha abituata all’ascolto, a pensarmi costanteme­nte circondata dal suono. A cinque anni ho iniziato lo studio del pianoforte, al liceo suonavo le tastiere in piccoli gruppi di amici; gradualmen­te ho capito che la mia musica, i miei testi, la mia voce mi sono indispensa­bili: per esprimere un’emotività che altrimenti non esterno. “Ayorama”, il primo e recente Ep, cela ombre nel titolo?

Era il nome della piccola barca di mio nonno paterno: io non l’ho mai vista, se non in fotografia, ma in famiglia se ne favoleggia­va. Una parola bellissima, per suono e significat­o: in lingua inuit

indica le cose della vita, anche dolorose, che non possiamo cambiare, ma che con forza dobbiamo accettare. È il contenuto della mia musica, dalle note dark, e una vena della mia personalit­à, a tratti malinconic­a. Allora la sua carriera musicale è un destino?

Con la mia svolta da solista mi sono chiesta se non stessi portando avanti forzatamen­te la tradizione musicale di famiglia. Ma poi mi sono detta che no: la musica mi viene da dentro, nel più naturale dei modi, come il respiro. Il suo mondo musicale conosce le sue ascendenze illustri?

Solo da poco: la mia presenza come portavoce della famiglia alla mostra e al concerto che alla Scala hanno celebrato il 150° anniversar­io della nascita di Toscanini ha svelato una discendenz­a che io, per riservatez­za, avevo nascosto. La notizia ha suscitato curiosità, ma è una parentela che non voglio sfruttare: la mia musica dovrà avere un’evoluzione indipenden­te. Detto ciò sono fiera di un trisavolo come Arturo, come artista e come uomo, con valori che mi porto dentro e contribuis­cono alla mia crescita personale. A Toscanini sarebbe piaciuta la sua musica?

Chissà... Io in lui ammiro quella ricerca dell’eccellenza che da visionario quale era lo ha spinto a superare i limiti della direzione e dell’esecuzione d’orchestra sino a un livello allora sconosciut­o. Ecco: vorrei avere quella sua qualità, che è forse più una scelta, un percorso lungo una vita. Sopra. Un ritratto di Veyl. La musicista suona a Milano, a Mare Culturale Urbano, il 15/6. La mostra “Arturo Toscanini. La vita e il mito di un maestro immortale” è al Museo Teatrale alla Scala fino al 20/8

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