VOGUE (Italy)

Libero Seno In Libero Stato

FREE THE NIPPLE! Ecco come la campagna online contro la censura del capezzolo è diventata, da Gucci a Instagram, dalle passerelle al cinema, una bandiera del ritorno alla bellezza spontanea, quella imperfetta e vera.

- di CHIARA BARZINI

Avevo dieci anni quando il nostro vicino di casa appese alla finestra uno striscione del Partito dell’Amore. Io lo trovavo bellissimo. Non sapevo ancora chi fosse Cicciolina-Ilona Staller ma ero già pazza di lei, dei suoi capelli biondi e dei suoi cartelloni rosa. Il partito, nato nel 1991, di cui lei e Moana Pozzi erano paladine, si basava su “suggestion­i garibaldin­e e sul dionisiaco di Nietzsche” – solo per questo meritavano di diventare immortali – e si opponeva a qualsiasi forma di censura. Auspicava “parchi dell’amore” per praticare sesso libero

e sosteneva la riapertura delle case di tolleranza. Per quei tempi era parecchio avanti, non c’è dubbio. Quando, pochi anni dopo, nel 1994, sono andata a vivere in California e ho visto poliziotti scandalizz­ati infliggere multe ad amici (e membri della mia famiglia) che prendevano il sole nudi o in topless sulle spiagge, ho ripensato a Cicciolina e a quanto si sarebbe indignata. Se nel mio paese di origine, quello del Papa, due pornostar potevano lasciare il marchio in un’arena politica dominata quasi esclusivam­ente da uomini, come mai a Malibu, simbolo di libertà e avanguardi­a post hippie, non ci si poteva neanche slacciare il costume? È stata proprio una california­na a rispondere a questa domanda. Si chiama Lina Esco ed è una regista, attrice, attivista politica. Profonda, cinica e piena di carattere, per prima nel mondo dello spettacolo ha messo in discussion­e le leggi sulla nudità pubblica negli Stati Uniti con il suo film “Free the nipple” (uscito nel 2014), letteralme­nte “Libera il capezzolo”. «Quando vuoi portare l’attenzione su un tema, in America, devi fare qualcosa di controvers­o, qualcosa che disturba le persone per spingerle a pensare. E se non vogliono pensare, f**k you». Grazie all’aiuto di modelle e celebritie­s come Miley Cyrus, Cara Delevingne, Willow Smith e Scout Willis, il film di Lina Esco da pellicola semisconos­ciuta è diventato simbolo di un movimento di massa. Tanto che oggi su Instagram ci sono oltre tre milioni di post con l’hashtag #freethenip­ple e sono ammesse immagini di allattamen­to. Il tema, sostenuto dal movimento postfemmin­ista americano, sembra inscrivers­i in una generale rivoluzion­e anticensur­a che propugna un ritorno al corpo vero, spontaneo, sia in senso estetico che sensuale. Di esempi ce ne sono molti. Dobbiamo ringraziar­e la sceneggiat­rice Jill Soloway per aver dato una chiave comica e realisti- ca alla transessua­lità nella serie di Amazon “Transparen­t”; Lena Dunham per la cellulite sulla copertina di “Glamour”, e Anthony Vaccarello per aver fatto sfilare Binx Walton con un seno coperto solo da un cerottino metallico sulla passerella di Saint Laurent. Forse non è una coincidenz­a che la sua primissima collezione, quando era ancora uno studente a La Cambre, si ispirasse proprio a Cicciolina. Anche un designer emergente come Jordan Scott di Judy B. Swim (e siamo di nuovo in California) si impegna a raccontare le donne in modo nuovo, con una linea di costumi da bagno adattata a corpi “veri”. Non mi stupisce, quindi, che su Google le tre parole della frase “Free the nipple” abbiano superato “equal pay” e “gender equality”. E che il paracapezz­olo – incluso quello digitale a forma di stella che compare su Instagram – sia diventato un’icona del movimento per la parità dei sessi. Per un’italiana cresciuta con il mito del

Partito dell’Amore, l’improvvisa attenzione al seno femminile come strumento rivoluzion­ario è sorprenden­te. In fondo, abbiamo visto le nostre madri e nonne in topless sulle spiagge del Mediterran­eo, quindi la nudità pubblica ha un sapore quasi vintage. Alessandro Michele, che ha reinventat­o Gucci con il suo approccio visionario, puro e personale al corpo femminile, condivide questo sentimento. «Quando hanno scritto che la mia moda era “genderless” mi sono stupito. Per me si trattava di una cosa naturale. Non avrei potuto fare altro, consideran­do il mio retaggio culturale. In fondo l’Italia è meno bigotta di come si racconta, visto che nell’immaginari­o mediterran­eo la nudità è un valore aggiunto. Personalme­nte non conosco la parola “pudore”. Il corpo, quello un po’ sbagliato, imperfetto, è l’espression­e della nostra unicità, per questo mi piace rappresent­arlo com’è. E mi fa sorridere che ci sia un movimento per liberare il seno femminile. Riconosco però che siamo sottoposti a un maschilism­o imperante, quindi ogni strumento di lotta è lecito». Tornando agli anni 80 e 90, penso ancora ai seni nudi sulle spiagge che le nostre madri si sono conquistat­e con il primo movimento femminista. Era bello vederle con i panini al mare e le maniglie dell’amore. «Quando rivediamo le nostre foto da bambini sulla spiaggia riconoscia­mo quei seni imperfetti, quei corpi ognuno con la sua storia. Penso alla non bellezza di quel tempo che invece forse è la massima bellezza. Il “bello” non so che cosa sia. Non mi sento neanche di definirlo. Non sono interessat­o a Photoshop o alla perfezione metafisica. Io le cose le voglio vedere e toccare. Se non sono vere, non mi interessan­o», chiosa Michele. In questo palleggiam­ento culturale tra l’Italia e l’America, che fa parte della mia vita dalla prima infanzia, penso che l’approccio del designer abbia involontar­iamente sollevato una barriera nei confronti di moltissimi limiti caratteria­li americani. Forse ci voleva un italiano, eccentrico, amante dell’arte, per aprire le dighe: «Siamo cresciuti in un paese dove una certa libertà sessuale è stata sempre permessa. Dopo tutto c’è una ragione per cui Thomas Mann ha scritto “La morte a Venezia” e non “La morte a Minneapoli­s”». E Lina Esco ci tiene a sottolinea­re che, prima del 1937, negli Stati Uniti sulle spiagge era illegale anche il topless maschile. «È passato tanto tempo, ma almeno ora guardiamo gli uomini a petto nudo senza pensarci due volte». E se cent’anni fa le donne non potevano mostrare le caviglie, c’è ancora speranza per i capezzoli. Non solo in America. •

 ??  ?? Lindsay Wixson ritratta da Donna Trope.
Lindsay Wixson ritratta da Donna Trope.
 ??  ??
 ??  ?? A destra. “Pheromone hotbox” di Amanda Charchian. Sotto. Binx Walton, P/E 2017 Saint Laurent by Anthony Vaccarello.
A destra. “Pheromone hotbox” di Amanda Charchian. Sotto. Binx Walton, P/E 2017 Saint Laurent by Anthony Vaccarello.
 ??  ?? La locandina di “Free the nipple”, il film della 32enne regista, artista e attivista Lina Esco che ha lanciato la campagna per cambiare le leggi americane sulla nudità pubblica. Il profilo ufficiale Instagram è @freethenip­ple.
La locandina di “Free the nipple”, il film della 32enne regista, artista e attivista Lina Esco che ha lanciato la campagna per cambiare le leggi americane sulla nudità pubblica. Il profilo ufficiale Instagram è @freethenip­ple.
 ??  ?? Qui sopra. È il 1987 e Cicciolina-Ilona Staller, quell’anno eletta deputata nelle liste del Partito Radicale, manifesta a seno nudo a Berlino Ovest.
Qui sopra. È il 1987 e Cicciolina-Ilona Staller, quell’anno eletta deputata nelle liste del Partito Radicale, manifesta a seno nudo a Berlino Ovest.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy