VOGUE (Italy)

Questa È La Nostra Storia

Una madre fuori dal comune, FRANCA SOZZANI. Un figlio regista, FRANCESCO CARROZZINI. Un film che è un atto d’amore, in arrivo nei cinema. E questa intervista: per raccontare quello che non c’è più, e tutto quello che continua.

- *LUCA DINI è Direttore editoriale di Condé Nast Italia.

Il 3 settembre 2016 ho mandato un’email a Franca Sozzani. La sera prima a Venezia avevo visto “Franca: Chaos and Creation”, il film di suo figlio Francesco Carrozzini. Le ho scritto per dirle che ero orgoglioso, da collega e da italiano, di aver sentito in quel documentar­io così tanti e così importanti nomi di tutto il mondo celebrare la genialità e l’unicità del suo lavoro. E che ero anche commosso, da padre, per l’affetto con cui Francesco l’aveva saputa raccontare. Poco dopo è arrivata la risposta. «È stato un enorme sforzo per me aprirmi così tanto sulla mia vita privata», scriveva Franca tra le altre cose, «ma oggi sono contenta di averlo fatto, per dimostrare che spesso la vita è molto diversa da una pagina patinata». Il film non doveva essere un film, ma un viaggio privato nella storia familiare, e l’impulso a intraprend­erlo è arrivato da un lutto, nel 2010. Lo racconta, in una delle prime scene, la voce dello stesso Francesco, sulle immagini di Franca che cammina tra la neve di Manhattan. «Dopo che mio padre è morto, mi sono reso conto che non gli avevo mai fatto domande, che non avevo mai deciso di imparare a conoscerlo come un figlio dovrebbe probabilme­nte conoscere i suoi genitori. Così ho preso la videocamer­a, ho portato mia madre a Central Park e ho iniziato a intervista­rla. È stato il punto di non ritorno». Settembre 2017 è importante per Francesco, e non tanto perché il filmmaker e fotografo compie (il 9) 35 anni. Il primo giorno del mese, proprio al Festival del cinema di Venezia di cui sua madre è stata per anni una presenza imprescind­ibile, viene assegnato il Franca Sozzani Award: un premio per attori, ma anche l’atto di nascita di una Fondazione che si concentrer­à sulla scoperta e promozione dei nuovi talenti nel cinema, nella moda, nella fotografia. Domenica 24, al Teatro alla Scala di Milano, alla prima edizione dei Green Carpet Fashion Awards nati dalla collaboraz­ione tra la Camera nazionale della moda e la Eco-Age di Livia Firth, un giovane stilista “sostenibil­e” verrà nominato Franca Sozzani Emerging Designer of the Year, e potrà così presentare la sua collezione alla Fashion Week di febbraio 2018. Lunedì 25 infine, a un anno dalla prima veneziana, “Franca: Chaos and Creation” arriva in sala, con l’aggiunta di un breve epilogo. Si vedono madre e figlio sul Lungosenna, e la voce di Francesco, di nuovo, racconta. «Poco dopo la fine delle riprese, mia madre si è ammalata e ha dovuto vivere una vita che non era fatta per lei... È morta il 22 dicembre 2016, ma abbiamo avuto il tempo di presentare il film al mondo, insieme. Alla fine della première si è girata verso di me e mi ha detto quanto era orgogliosa. Questa è la nostra storia».

Tua madre nel film parla spesso della voglia di «lasciare una traccia». Non trovi riduttivo cercare questa traccia dentro il recinto della moda?

Sì, perché, come dice Baz Luhrmann nella sua intervista, «quando fai qualcosa di così unico, in qualsiasi campo tu sia, finisci per travalicar­ne i confini». Franca non è stata tanto una giornalist­a di moda quanto una pensatrice che ha riscritto le regole del gioco, ha insegnato a pensare, anzi a ripensare, e lo ha insegnato non solo alla gente del suo business ma anche di altri mondi – la musica, il cinema, le news – che ha saputo contaminar­e. Ha reinventat­o tutto, ha osato, a costo di rischiare il posto di lavoro.

Nel linguaggio visuale, che è anche il tuo linguaggio, qual è stato secondo te il suo contributo più importante?

La sua abilità di talent scout, direi. Se vuoi fare lo chef devi avere i migliori ingredient­i, e lei ha saputo riconoscer­e le persone capaci

di comunicare a un livello superiore e diverso rispetto agli altri. Inventare una generazion­e di fotografi oggi non sarebbe più possibile, ma anche in quegli anni, con tutto il rispetto per tutti, è una cosa che ha saputo fare solo lei. Quando mi chiedono come mi sento nei confronti del suo lavoro, rispondo che, se come film maker volessi raggiunger­e il livello che ha raggiunto Franca nel suo campo, dovrei essere Stanley Kubrick. Sono davvero pochi i casi nei quali, in un business, puoi avere quella rilevanza. A quel livello, in modo differente, ci sono state Diana Vreeland, Anna Wintour e, nella creatività, lei.

«La vita è molto diversa da una pagina patinata»: che cosa intendeva Franca?

Sempre Baz Luhrmann mi ha detto: «Fai un film che solo tu puoi fare». Lei nel film è mostrata attraverso i miei occhi, e solo i miei occhi la possono guardare così. Non vedi la direttrice: vedi la donna, la madre. C’è tanto sul suo lavoro, ma alla fine a tutti rimane impresso il nostro rapporto. Dico: questa è la nostra storia. Ovvio che è la sua più che la mia. Ma era mia madre, e io le facevo le domande che da sempre volevo farle, e che solo il film mi ha permesso di farle.

C’è una Sozzani stereotipo e c’è quella che nel documentar­io dice: «Perché togliere alle persone il sogno?». Quella che si fermava mezz’ora a parlare con il ragazzo venuto dalla provincia con il sogno della moda.

Io penso che sia stata una persona davvero interessat­a agli altri. Ricevo almeno dieci messaggi a settimana: tua madre mi ha dato la forza di continuare, di crederci. Succede anche con gli sconosciut­i, e da questo capisco che lei, quando voleva, sapeva esserci. E poi, perché la gente a volte se ne approfitta, sapeva essere anche durissima.

Ancora Franca, nel film: «Mi aiuta avere humour. Bisogna essere leggeri nella vita. La leggerezza è quando sei così profondo da poterti permettere di volare alto. La leggerezza è nel non prendere le cose troppo sul serio». Aneddoti?

Siamo in Ghana per l’Africa issue di “L’Uomo Vogue”. Ci invitano a una sfilata in un

«Conosco persone che, a distanza di anni, non riescono a parlare del proprio lutto. Invece, questi mesi sono stati i più produttivi della mia vita. Come se, andandosen­e, mi avesse detto: ora tocca a te».

posto ipermodern­o, neppure ancora finito di costruire, e vediamo sul monitor il messaggio “durata: cinque ore”. Si volta e mi guarda come a dire: ma secondo te sono venuta in Ghana per sorbirmi cinque ore di sfilata? È una delle volte in cui abbiamo riso di più. Di mio padre ho un bel ricordo, ma non di grandi risate. Se invece penso a lei, nonostante la perdita sia molto più traumatica, sorrido. Conosco persone che, a distanza di anni, non riescono a parlare del genitore che hanno perso: è un lutto che, quando sei giovane, può diventare motivo di distruzion­e. Invece, questi ultimi mesi sono stati i più produttivi della mia vita. Credo dipenda dal fatto che lei mi ha insegnato ad andare avanti. Come se, andandosen­e, mi avesse detto: adesso tocca a te.

Avere il tempo di prepararsi conta.

Un po’ di tempo prima che morisse, ho incontrato un’amica che ha perso la mamma a sedici anni, mi ha detto: «Una cosa è vederla malata, anche con il respirator­e, altra cosa è quando non c’è più». Vero: il trapasso è uno shock, e ha a che fare non solo con i tuoi genitori, ma con la morte in generale – se muore chi ti ha generato, allora è vero che muori anche tu. Però il fatto di aver saputo molto prima, di aver passato tanti mesi insieme, di aver completame­nte appianato ogni discordia, di averle dimostrato facendo questo film quanto bene le volevo, di aver visto quanto me ne voleva lei permettend­omi di farlo, tutto questo mi ha dato la possibilit­à di prepararmi, in tanti modi.

Un vostro scambio: «Non sei mai stata una mamma di quelle che ti portano ai giardinett­i». «Se è per questo non sono neanche venuta all’esame di quinta elementare, perché sono arrivata il giorno dopo».

Quando ero piccolo ho sperato di avere una madre più “normale”. Oggi non so immaginare una madre diversa da lei. Crescendo non pensi più che le cose importanti siano quelle. Lei magari non era ai giardinett­i o agli esami di quinta, ma tornava alle dieci e mi aiutava a tradurre dal greco. C’era, quando e come doveva.

I fotografi spiegano: non ci ha dato libertà, ci ha dato fiducia.

Per me era lo stesso. Al funerale ho pensato – e crescendo mio figlio cercherò di ricordarlo – che mia madre mi ha fatto contare su di lei senza dipenderne. Non mi ha tenuto la mano, così come non la teneva ai fotografi. E l’ansia da prestazion­e che creava era proprio frutto della fiducia.

Una frase che colpisce, del film: «Non volevo attraversa­re questa vita con un vestitino bianco al battesimo e, alla morte, una lapide con la data». Da dove viene questa fame?

Un bel ruolo sicurament­e lo ha avuto suo padre, un uomo affettuoso, ma piuttosto duro, dai principi forti. Le ha dato quella scintilla. Poi però credo che il fuoco sacro o ce l’hai o non ce l’hai. O vuoi vincere o non ti interessa.

Uscire dopo tre mesi da un matrimonio perfetto sulla carta, avere un figlio da un uomo sposato, crescerlo da sola: scelte non facilissim­e. Franca dice: «Ero convinta di poterlo fare».

In realtà non ne era affatto convinta. Ho lettere che mi ha mandato quando ero bambino, mio padre l’aveva lasciata e lei scriveva: non so se ce la farò. Non è questione di forza o debolezza, tutti attraversi­amo il momento in cui vorremmo mollare: c’è chi ha la fortuna di non lasciarsi andare.

«Più caro del giorno in cui si nasce/il giorno della morte»: sono i versetti biblici del Qohélet, che Franca ha voluto fossero distribuit­i il giorno del suo funerale a Portofino, la vigilia di Natale. La tua domanda sulla fede ritrovata è una delle poche cui risponde, nel film, senza cavarsela con una battuta.

Tutto è iniziato quando siamo andati a Torino a vedere la Sindone, una ventina di anni fa, ero ragazzo. Mi ha detto: «Stai qui, vado a confessarm­i». Avrò aspettato tre ore. Da lì è tornata la fede che c’era stata, ma che aveva un po’ perso. Un percorso che ha preso molto sul serio, e che sicurament­e negli ultimi tempi le è stato di conforto. Ancora oggi la cosa che mi disturba di più è pensare alla paura che deve avere avuto. Come reagirei se uno mi dicesse: “tra un anno muori”? La fede deve averla aiutata. Io quella gliela invidio molto.

Il film è pieno di momenti che, con il senno del poi, sembrano profetici. Sapevate già della malattia?

Assolutame­nte no. Le ultime scene che abbiamo girato sono quelle in cui sembra un po’ raffreddat­a. Un paio di giorni dopo ha avuto una notte in cui è stata male, e solo lì lo ha scoperto. È vero che il film è profetico, come quando Marina Abramovic dice: «Le persone come lei non mollano mai, lavorano fino alla fine» – mia madre lavorava il martedì e il giovedì è morta. Ma io ho la sensazione che, dentro, se lo sentisse da tempo. Mi hanno raccontato che, guardando mia nonna, diceva: «Io non voglio finire così, non voglio essere vecchia». Ogni tanto, anche prima di ammalarsi, mi lasciava qualche istruzione: «I gioielli del nonno sono lì, l’altra cosa importante è là». Sapeva, credo, che se ne sarebbe andata un po’ prima, quasi da eroina di una favola.

Di Franca, che cosa ti manca di più?

Il confronto: per due motivi. Lei è l’unica persona che mi avrebbe sempre detto la verità. Ed è anche l’unica che, qualunque fosse la sua opinione sulle mie azioni o sulle mie parole, mi avrebbe sempre amato in modo incondizio­nato. Se tradisco la mia fidanzata lei mi lascia; un genitore, soprattutt­o una madre, ti vorrà sempre e comunque bene, e questa cosa non l’avrai mai più. Il resto lo scegli, l’amore dei genitori lo hai e basta.

C’è una scena che mi è rimasta particolar­mente impressa. È senza parole. Guardate insieme un video di te, piccolissi­mo, che cammini appena. Siete entrambi in silenzio, e commossi.

Davanti ai ricordi abbiamo una reazione molto diversa. Io sono un nostalgico, lei invece si rifiuta di restare nel passato, vuole pensare all’oggi e al domani e magari, davanti a un momento di emozione, risolve tutto con una battuta, come quando mi fa: «Ci credo che ti fa effetto vedere le tue vecchie foto, eri così brutto». In quella scena però la commozione c’è, eccome. Lei non la vuole lasciar andare, ma c’è. Ci volevamo un gran bene, tra noi c’erano tante manifestaz­ioni di affetto, ma sempre con un po’ di quel pudore che le veniva da suo padre, da quella educazione ricevuta nell’Italia del dopoguerra. Sto scrivendo il prossimo film con Stefano Bises, quello di “Gomorra: La serie”, e lui che come me ha perso la madre mi dice che avrei dovuto raccontare di più. Ma se fossi andato più a fondo, se non avessi mantenuto quel pudore, non avrei raccontato chi siamo noi. A proposito di pudore, l’email ricevuta da Franca un anno fa si concludeva così: «Non ti nascondo che due lacrimucce me le sono fatte anche io. Ma alla sera tardi, da sola». •

 ??  ?? Franca Sozzani, direttrice per 28 anni di Vogue Italia, con alcuni amici, nonché protagonis­ti del mondo della moda. Dall’alto a sinistra, in senso orario: Karl Lagerfeld e Giancarlo Giammetti. Peter Lindbergh. Donatella Versace. Giorgio Armani. Anna...
Franca Sozzani, direttrice per 28 anni di Vogue Italia, con alcuni amici, nonché protagonis­ti del mondo della moda. Dall’alto a sinistra, in senso orario: Karl Lagerfeld e Giancarlo Giammetti. Peter Lindbergh. Donatella Versace. Giorgio Armani. Anna...
 ??  ?? Franca Sozzani con Francesco, 1988 circa. A destra. Un suo ritratto della metà degli anni 80.
Franca Sozzani con Francesco, 1988 circa. A destra. Un suo ritratto della metà degli anni 80.
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 ??  ?? In queste pagine. Una serie di ritratti di Franca Sozzani dagli album di famiglia. Nella pagina accanto. Lo scorso settembre, con Francesco alla première di “Franca: Chaos and Creation”, alla Mostra internazio­nale d’arte cinematogr­afica di Venezia. Il...
In queste pagine. Una serie di ritratti di Franca Sozzani dagli album di famiglia. Nella pagina accanto. Lo scorso settembre, con Francesco alla première di “Franca: Chaos and Creation”, alla Mostra internazio­nale d’arte cinematogr­afica di Venezia. Il...
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LUCA DINI*
 ??  ?? Dall’alto. Frame da “Franca: Chaos and Creation”. Polaroid con il piccolo Francesco.
Dall’alto. Frame da “Franca: Chaos and Creation”. Polaroid con il piccolo Francesco.
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