Stefano Pilati
Per osservare con lucidità critica il sistema è necessaria una certa distanza, in ogni senso. Stefano Pilati e Riccardo Tisci vivono, in modi diversi ma paralleli, la medesima condizione di temporaneo ma fruttuoso esilio dal fashion system. Il primo da Berlino, il secondo errante. Al Bel Paese, però, sono entrambi profondamente legati, e non ne fanno mistero. Creativi di rango in pausa momentanea en attendant un impiego all’altezza, si aprono con schiettezza in questa intervista doppia, affrontando argomenti scottanti sull’identità, i caratteri, le peculiarità della moda italiana, e non solo di quella. Chi meglio di loro? Forse sono leoni feriti, e per questo graffiano. A colpire è la fotografia che scattano, impietosa ma appassionata, a un sistema che urge riformare quanto prima, tenendo a mente la lezione gloriosa della storia. Il pessimismo apparente, a conti fatti, si ribalta in forza, e da questa emerge la visione per costruire un futuro migliore. (A.F.)
Si può definire la creatività italiana?
La si può sicuramente definire, se contestualizzata nell’ambito delle arti. Che il popolo italiano sia creativo e ingegnoso è la storia che lo insegna. Che la cultura italiana sia creativa è la storia che lo insegna. Purtroppo, non sono convinto che tanta creatività italiana, seppur ricca di storia, sia applicata anche al di fuori delle arti. In politica o in socio-politica, la creatività italiana non è stata sufficientemente aperta da rompere la dimensione di provincialismo che attualmente ci attanaglia.
Come si è evoluta negli anni e in quali condizioni versa adesso?
Eccetto alcuni casi specifici, trovo che tra gli anni Ottanta e il Duemila l’affermazione del ruolo del Made in Italy nel panorama della creatività mondiale si sia involuto invece che evoluto. È, a mio avviso, l’ennesimo riflesso di una assenza di percorso e insufficiente capacità di ottimizzazione e capitalizzazione delle risorse locali.
Cosa è successo alla nostra cultura del progetto?
Vedo l’Italia come un luogo di romantici sognatori. Lavorando nella moda, ho avuto la possibilità di credere e appassionarmi a quelle identità creative che hanno