Ancora Un Bacio
Cos’hanno di così speciale quelli del CINEMA ITALIANO? Spiega il regista che alla questione ha dedicato il suo ultimo film: non il voyeurismo, ma una memoria fatta di attese, timore, possibilità. Come nella copertina di questo numero di Vogue.
Di tutti i baci che sono stati messi in scena nella storia del cinema, italiano e non, da spettatori ricordiamo benissimo quelli che ci hanno catturato, che hanno segnato la nostra memoria, quelli visti in una sala che tratteneva il fiato in trepidante attesa, sapendo istintivamente quanto fosse un momento cruciale quello a cui stava assistendo. Non solo un momento di tensione narrativa, quindi, ma di restituzione di senso. Perché i baci, sullo schermo, hanno un enorme potere di rivelazione. C’è qualcosa di particolarmente irritante in un bacio non riuscito, qualcosa che ci infastidisce come spettatori e che va al di là del semplice schiaffo alla credibilità dei personaggi e alla rivelazione della messa in scena. Quando due personaggi sullo schermo si scambiano un bacio finto, palesemente rappresentato, un moto di rifiuto se non di stizza ci percorre, e la memoria dei baci che abbiamo dato nella vita, o meglio, che ci siamo scambiati, si risveglia pronta per segnalarci che quello a cui stiamo assistendo nella narrazione, quell’incontro, quell’avvicinarsi delle labbra e quello scambio di umori, non è che l’imitazione poverissima dell’eccitazione, dell’inizio dell’avventura, dell’abbandono carico di spavento. Come le altre simulazioni a cui il cinema ci ha abituati (ma più che in quella della morte, di fronte alla quale, quando viene rappresentata in un film, siamo più tolleranti, perché sfiora un tabù di pensiero al quale non sempre vogliamo accostarci), quella del bacio ha il potere di svelare l’inganno, o di converso, quando è riuscita, di sublimare la perfezione della rappresentazione e renderla memorabile. Dei vari baci cinematografici ricordiamo come particolarmente riusciti quelli che non ci hanno fatto pensare alla professionalità dei due attori intenti a unire le labbra di fronte a una troupe. Forse perché si sono ricollegati direttamente al nostro vissuto. O forse perché li abbiamo riconosciuti come appartenenti alla nostra esperienza umana. Il cinema italiano classico ha una storia costellata di attori che hanno fatto sognare il mondo: i loro baci sono stati non la possibilità voyeuristica di vedere una star alle prese con la messa in scena di un momento intimo, ma la sublimazione estrema di una memoria fatta di attese, di timore, di scoperta di possibilità. Sono baci risolutivi, che svelano o affermano con forza l’attrazione, l’idea del congiungimento, l’espressione di un sentimento. Più ancora che per le scene di sesso – che raramente hanno il potere di emozionarci in questo modo, e quando lo hanno è perché raccontano altro –, i baci svelano la violenza della passione, come in “Rocco e i suoi fratelli”, o l’impossibilità di una qualsiasi superficialità nell’attrazione fisica (penso a quasi tutto il cinema di Pasolini), o il desiderio di un incontro che vada al di là della ripetitività sterile dei giorni (“Io la conoscevo bene” di Pietrangeli) o l’ossessione del desiderio (ancora Visconti, “Senso”). Se hanno una forza eversiva, questi baci la possiedono non per i soggetti coinvolti, ma per quello che ci raccontano sulla rottura dei loro preconcetti (“Il conformista” di Bertolucci) o per il loro potere di rovesciare il mondo contro tutto e tutti (“Io sono l’amore” di Luca Guadagnino). A volte sono attesi dagli spettatori in maniera inconscia come il momento della verità, quello che rivelerà se tutto ciò che ci è stato detto su carattere, personalità, orientamento sessuale dei protagonisti è vero, segnando così un nuovo passo nel racconto del film, un passo in cui il regista afferma con decisione: puoi fidarti di me (Riccardo Scamarcio e Carmine Recano in “Mine vaganti” di Ozpetek). I baci che restano nella nostra memoria lo fanno a volte grazie a un realismo magico, e se la situazione non è comune ma straordinaria, muovono le nostre aspirazioni a che la nostra vita possa accogliere un tale momento: Dietro quell’immagine dev’esserci un mondo di possibilità, di sogno. I baci sono annunci, e quand’anche vengano smentiti dopo cinque minuti, nel momento in cui le labbra si incontrano sono perfetti e chiusi in sé.
una bellissima fontana, un momento di follia lucida, essere Mastroianni, o la Ekberg, o preferibilmente entrambi. Esserci, non solo assistere passivamente. La sequenza finale di “Nuovo Cinema Paradiso”, nella sua ineluttabilità precisissima, mostra una teoria virtualmente infinita di tutti i baci delle pellicole proiettate, baci che nel corso del racconto sono stati tagliati via dalla censura, e nonostante le nostre possibili resistenze ha il potere di commuoverci, o comunque di catturarci. Sono i baci negati che vediamo in quel momento, non nel racconto del film, ma nella vita – e in un senso nostalgico sono quelli che non siamo riusciti a dare ma che avremmo voluto. Nella mia personale esperienza di regista ho vissuto un episodio per me particolarmente significativo nel corso delle riprese del mio ultimo film: i due giovani attori protagonisti, Rimau Grillo Ritzberger e Leonardo Pazzagli, esordienti al cinema, dovevano scambiarsi un bacio in scena. Il bacio era stato provato prima delle riprese, anzi direi che era stata senz’altro una delle scene cruciali dei provini. I due ragazzi nelle prove si erano scambiati un bacio vero, curioso, di scoperta, insieme potente e terribile. Quando ci siamo poi ritrovati per quella scena sul set, tre mesi dopo, al primo ciak il loro bacio risultava timido, impacciato, buffo, quasi scambiato per gioco. Ho dato lo stop, ho chiamato da parte i due ragazzi, ho chiesto loro cosa stesse succedendo. Mi hanno risposto che al provino non si conoscevano per niente, e che invece ora erano diventati amici. Questo rendeva più difficile baciarsi con quel misto di eccitazione e sgomento che accompagna i primi baci. Da regista li ho spronati a ritrovare quel sentimento vissuto nei provini, e durante i successivi ciak ci sono riusciti. Ma in fondo sentivo che mi avevano spiegato una verità. Gli amici ovviamente non si baciano come gli amanti, non si baciano per scoperta, paura, timore, ansia di perdere quell’emozione che sta passando. La pellicola cattura quell’attimo lo restituisce nella sua verità emotiva – quando non reale, almeno possibile. Tutto il cinema, o almeno il cinema che piace a me, tende alla creazione di una verità emotiva, qualsiasi essa sia, fosse anche la negazione o l’assenza di un sentimento. I baci, esattamente come nella vita, rivelano tutto quello che c’è da sapere, senza che venga pronunciata una sola parola. Dietro quell’immagine deve esserci un mondo di possibilità, di sogno. I baci sono annunci, e quand’anche vengano smentiti dopo cinque minuti, nel momento in cui le labbra si incontrano sono perfetti e chiusi in sé. Come per Lady Chatterley, hanno il potere di fare risuonare le campane. E nel cinema più bello, quelle campane non suonano per i protagonisti, ma per noi spettatori che li guardiamo. Perché – e questa è la verità segreta e forse il senso della magia del cinema – quel bacio che viene scambiato per i nostri occhi deve invece pretendere, e nel cinema più bello lo fa, di esistere da sempre e per sempre, esattamente come le promesse d’amore che ci scambiamo nella vita. •