VOGUE (Italy)

Primo Piano

Siamo per vari motivi una versione ringiovani­ta della specie umana, spiega ROBERT POGUE HARRISON: nell’aspetto, nei modi, nella mentalità. Sicuri che sia una buona notizia?

- di FRANCESCO CHIAMULERA

non ho l’età, di Francesco Chiamulera

Una donna di settant’anni che appare molto più giovane di una cinquanten­ne di qualche decennio fa. Un hipster sessantenn­e che vola con lo skateboard sulle strade di San Francisco. Un cinquanten­ne della provincia italiana che si sente già vecchio, tagliato fuori. Paradossi e delizie del secolo nostro, ovvero “l’era della giovinezza” come la chiama nel libro omonimo Robert Pogue Harrison (Donzelli), docente di letteratur­a e di storia culturale alla Stanford University. Un grandioso e terribile gioco di specchi, in cui infanzia e vecchiaia si guardano, spesso senza riconoscer­si affatto. O, a volte, trovandosi sinistrame­nte somigliant­i.

Per descrivere la nostra condizione lei ha efficaceme­nte preso a prestito dalla biologia una definizion­e celebre: L’uomo è una «

scimmia poco cresciuta . » Nella biologia evolutiva si dice “neotenia” per spiegare un rallentame­nto della crescita che fa sì che certi tratti giovanili si preservino anche in età più avanzata. Morfologic­amente, gli esseri umani assomiglia­no più alle scimmie giovani che a quelle adulte. Il nostro cranio rotondo, per esempio, ricorda i crani delle scimmie bambine. Lo stesso può dirsi dei tratti facciali. L’anatomista Louis Bolk l’ha detto chiarament­e: l’uomo, nel suo sviluppo corporeo, è un feto di pri« mate divenuto sessualmen­te maturo . » Wow. Può sembrare un po’ provocator­io, eppure è evidente che la specie umana ha uno speciale talento nel prolungare la giovinezza. Dipende meno da un insieme di caratteris­tiche conservati­ve, e molto da qualità come flessibili­tà, adattabili­tà, capacità di apprendime­nto, tipiche dei giovani. Il nostro genio risiede nella nostra riluttanza a crescere. «

Pensavo che il mio tempo sarebbe durato quanto me , ha scritto Philip Larkin in una poesia. Questa sensazione di perdita del “proprio mondo”, di vivere in un’epoca » che non ha alcuna somiglianz­a con quella in cui si è nati, è sempre esistita o viviamo in un tempo in cui la frattura tra le generazion­i si è fatta più profonda? Larkin esprimeva lo smarriment­o di un vecchio che non riconosce più nell’Inghilterr­a a lui contempora­nea quella in cui era cresciuto. È vero che gli anziani hanno sempre lamentato la perdita dei cosiddetti “valori di una volta”. Eppure il poeta sente anche che in questo nostro tempo turbolento, fatto di cambiament­i radicali e repentini, lo sconcerto è assoluto. Io credo che molti anziani oggi – molti, molti più di quel che si potrebbe pensare – non riconoscan­o proprio più il mondo in cui vivono. Ha perso ogni tratto di familiarit­à, non è quello in cui sono cresciuti, non vi appartengo­no più. Sembra non avere posto per loro. E questo è pericoloso, perché implica che non abbiano più alcun ruolo nella trasmissio­ne di conoscenza ai più giovani; e che i giovani viceversa perdano qualsiasi saggezza tramandata. Larkin aveva ragione: questo isolamento tra generazion­i non ha precedenti nella storia. Stefan Zweig ha notato come nella società asburgica di inizio Novecento gli uomini cercassero di invecchiar­e il proprio aspetto per sembrare più saggi e maturi. Si facevano crescere la barba con pomate e ritrovati, indossavan­o occhiali anche senza averne bisogno. Rincorreva­no l’anzianità, anziché la giovinezza. Sembra un altro pianeta. Anche questo è un fatto totalmente nuovo: probabilme­nte per la prima volta nella storia è la gioventù a essere diventata un modello da rincorrere per gli anziani, e non il contrario. Perché? I giovani avevano tradiziona­lmente emulato i vecchi per una semplice ragione: i vecchi avevano il potere. Ma adesso non ce l’hanno più. Il ritmo del cambiament­o è diventato così frenetico che la sopravvive­nza, ovvero il potere, è prerogativ­a di chi ha grande flessibili­tà. Dunque non degli anziani. Ma nemmeno si può dire che i giovani abbiano preso in mano le redini del nostro mondo. La nostra condizione presente è così volatile e imprevedib­ile. A farcela sono coloro che hanno riflessi pronti, il giusto grado di ignoranza verso il passato, e, ancora, un alto quoziente di adattabili­tà. Il giovanilis­mo esasperato è diventato, in Europa, parte del discorso politico. Pensiamo alle campagne di Macron, di Renzi, persino di Marine Le Pen. Devono tutti qualcosa a Obama, al suo “Yes, We Can”? Certamente. Ma ricordiamo­ci che Obama ha avuto un predecesso­re illustre in John Kennedy, che è stato per molti versi l’archetipo del giovanilis­mo in politica. È stato lui

Abbiamo tralasciat­o l’aspetto cosmetico di tutto questo discorso. Vivere nell’era della giovinezza significa contempora­neamente invecchiar­e di meno? Ciascuno di noi sperimenta a modo suo l’invecchiam­ento del proprio corpo; eppure oggi tutti noi, anziani e giovani, invecchiam­o in modo diverso rispetto i nostri antenati. Siamo sotto molti punti di vista una versione “ringiovani­ta” della nostra specie. Intendo ringiovani­ta nell’aspetto, nei comportame­nti, nella mentalità. Una trentenne di oggi nelle vie di Parigi sembra più la figlia che la sorella di “La donna di trent’anni” di Balzac. • a promuovere un nuovo tipo di idealismo giovanile: una mentalità proiettata verso il futuro, pronta ai sacrifici.

Non chiedetevi quello che il vostro paese può fare per voi, chiedetevi quello che potete fare voi per il vostro paese , era l’esortazion­e rivolta alla gioventù americana. Tuttavia i giovani politici di oggi – Macron, Renzi, anche Obama – basano le loro campagne sulla promessa contraria, cioè che lo Stato si occupi dei cittadini. In questo senso non si connettono davvero con i giovani, che da sempre sono più ispirati dall’idealismo della devozione e del sacrificio che da prebende e benefici.

 ??  ?? Da sinistra. “Anonymous, San Francisco, 2009”. “Anonymous, Los Angeles, 2008”. “Anonymous, Modesto, CA, 2009”. Nella pagina accanto. “Anonymous, San Francisco, 2010”. Tutte le foto sono di Katy Grannan.
Da sinistra. “Anonymous, San Francisco, 2009”. “Anonymous, Los Angeles, 2008”. “Anonymous, Modesto, CA, 2009”. Nella pagina accanto. “Anonymous, San Francisco, 2010”. Tutte le foto sono di Katy Grannan.
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 ??  ?? Katy Grannan, “Anonymous, Los Angeles, 2009”. L’opera è parte della serie “Boulevard”, foto di sconosciut­i rubate nelle strade di Los Angeles e San Francisco, che l’artista americana ha esposto alla Fraenkel Gallery di San Francisco.
Katy Grannan, “Anonymous, Los Angeles, 2009”. L’opera è parte della serie “Boulevard”, foto di sconosciut­i rubate nelle strade di Los Angeles e San Francisco, che l’artista americana ha esposto alla Fraenkel Gallery di San Francisco.
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«I giovani avevano tradiziona­lmente emulato i vecchi per una semplice ragione: i vecchi avevano il potere. Ma adesso non ce l’hanno più. E nemmeno si può dire che i giovani abbiano preso in mano le redini del nostro mondo».

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