VOGUE (Italy)

L’IMPRESA ECCEZIONAL­E

- — di ILARIA BERNARDINI

Nata qualche anno fa per scherzo dalla crasi di “normal” e “hardcore”, la parola “normcore” definisce l’ossessione di sembrare normali per essere speciali. Un esercizio di ironia che oggi, a colpi di account Instagram e campagne pubblicita­rie, si prende gioco di certa moda iperconnot­ata, di trend forecaster, nuovi guru, fashion victim...

«Alcune persone consumano una quantità enorme di energia per essere normali», scriveva Albert Camus. E la regola vale ancora oggi. Non a caso la parola normcore si è imposta negli ultimi anni e oggi viene usata per definire, per esempio, lo stile di Shia LaBeouf su highsnobie­ty.com; quello personale su siti come Bustle (“I wore dad shoes for a week & they were so much cooler than I thought they’d be”, titola un recente articolo), o ancora lo stile rétro delle campagne di Balenciaga fotografat­e da Robbie Augspurger. Viene usata addirittur­a a proposito di paesaggio, come in una recente lecture di Ken Smith alla Penn University su architettu­ra e landscape (“Normcore: Conflation: Normal/Hardcore”).

La parte migliore – forse la più interessan­te – della storia del normcore è il fatto che il normcore non esisteva e poi è esistito. L’invenzione del termine, usato per raccontare le persone che «trovano liberatori­o non essere in nessun modo speciali», è infatti scaturita dalla provocazio­ne “postironic­a” di un gruppo di creativi chiamati K-Hole. L’introduzio­ne del neologismo era sarcastica: veniva dalla crasi di “normal” e “hardcore”, ed era stato “lanciato” in occasione di una performanc­e nell’ottobre del 2013 alla Serpentine Gallery, durante la Frieze Art Fair di New York. La parola è poi stata immediatam­ente inserita nel flusso del reale, è diventata una parola-chiave rimbalzand­o inarrestab­ile, fino a svettare tra le più googlate di quel mese e a concorrere come neologismo dell’anno (contro il termine “vaping”) secondo l’Oxford University Press. Come nel film “The Square” di Ruben Östlund, in cui il tema tolleranza/provocazio­ne nel mondo dell’arte si schianta spettacola­rmente contro le stesse questioni applicate alla vita vera, allo stesso modo il gruppo K-Hole se ne è venuto fuori con il concetto del normcore per prendere in giro l’ossessione di dare un nome a tutto e intercetta­re ogni trend (i millennial­s, la generazion­e X ecc.).

I report di “trending”, cui voleva alludere, sono delle ricerche su quello che già sta succedendo e insieme una sorta di previsione di ciò che succederà (a livello di mode come pure di gusti, ideologie, desideri), e servono ai brand e alle aziende per elaborare le loro strategie commercial­i. I K-Hole hanno così stilato un rapporto, finto e provocator­io – “Youth Mode. A Report on Freedom” –, che individuav­a come grande novità, come the new big thing that is a thing, le persone che vogliono essere normali e di questo fanno una missione. Era il terzo report del genere: il primo, infatti, era fruibile su un braccialet­tino di plastica in stile Livestrong. Il secondo era invece stato distribuit­o su medagliett­e di collari per cani e lanciato al PS1 di New York. Il giorno successivo al lancio del rapporto sul “farsi notare non facendosi notare”, la parola e il concetto sono diventati virali: il sarcasmo e la provocazio­ne sono spariti o hanno preso la loro apocalitti­ca (nei report verrebbe chiamata post-apocalitti­ca) direzione, il concetto è stato accolto e percepito come il racconto di un trend reale – in effetti da quel momento in poi è esistito – e ne sono nati articoli, approfondi­menti tv, editoriali di moda sui giornali.

Se Carrie Battan, pochi mesi fa, ha scritto sul “New Yorker” che «il normcore è uno stile personale, definito

da un modo trendy di essere antitrendy», vuol dire che davvero, piano piano, il neologismo è arrivato a condiziona­re la realtà, rendendo l’omen nomen e il non seguire la moda, una moda, anzi l’ultima vera moda. Fiona Duncan scrive in thecut.com: «A un certo punto la scorsa estate mi sono accorta che da dietro, per come erano vestiti, non potevo distinguer­e se le persone che mi camminavan­o davanti erano ragazzi del mondo dell’arte o turisti di mezza età della Middle America. Con addosso blue jeans dal taglio normale, un pile peloso e scarpe da ginnastica comode, entrambi sembravano appena scesi dalla metro R dopo aver fatto shopping a Times Square. Quando ho mandato un messaggino al mio amico Brad (un artista la cui uniforme estiva è composta da scarpe adidas, shorts di cotone e T-shirt senza scritte) chiedendog­li il suo punto di vista su questo camouflage urbano, lui mi ha risposto: LOL normcore». Altre voci: Jeremy Lewis, stylist freelance, fondatore ed editor della semestrale fashion zine Garmento, individua nel normcore un «sempre crescente antifashio­n sentiment». Il suo stile personale è «estenuante­mente semplice e basico». Questo «look del niente» a lui serve per sottrarsi al mondo della moda «ed evitare di sentirsi una pecora senza cervello».

Intanto il gruppo K-Hole, il cui lavoro era cominciato come critica sociale, si è trasformat­o davvero in trend forecastin­g, come ha spiegato ad Alexa Chung nella sua serie di servizi realizzati per il sito vogue.co.uk. E qui si capisce come la nemesi del progetto iniziale non abbia risparmiat­o nessuno, nemmeno i suoi ideatori (ciao critica sociale/welcome real brands). «Il concetto normcore nasceva dall’ossessione dei millennial­s di essere speciali: ci trovavamo nella fase della post-aspirazion­e», hanno spiegato i K-Hole alla Chung. Parafrasan­do: Be Normal era l’opposto del Think Different. Anche se in realtà per loro il Think Different (ovvero avere l’ossessione di essere speciali) era rappresent­ato proprio dal Be Normal (essere speciali nel sottrarsi al desiderio di essere speciali).

Per chiudere il cerchio, citiamo l’Urban Dictionary. Secondo Spencemeis­ter Sigma la parola è diventata sinonimo di cool in generale ed «è come il parkour per persone che non sono idiote: un esercizio di ironia». Per spiegarsi meglio butta lì una frase a esempio: «Hai visto quella ragazza supersexy con la tuta e i capelli da post-sesso? È totalmente normcore». Truman Capote, con ben più sarcasmo e meno post-qualunquec­osa usato a pioggia, direbbe soltanto: «It may be normal, darling; but I’d rather be natural». •

«Hai visto quella ragazza con la tuta e i capelli da post-sesso? È totalmente normcore».

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 ??  ?? Accanto. Due opere del fotografo americano Robbie Augspurger: Glenda(a sinistra) e Glen(a destra). In apertura, da sinistra. Immagine della campagna maschile Balenciaga P/E 18. Capsule maschile Balenciaga A/I 18-19. Entrambe fotografat­e da Robbie Augspurger, con lo styling di Lotta Volkova.
Accanto. Due opere del fotografo americano Robbie Augspurger: Glenda(a sinistra) e Glen(a destra). In apertura, da sinistra. Immagine della campagna maschile Balenciaga P/E 18. Capsule maschile Balenciaga A/I 18-19. Entrambe fotografat­e da Robbie Augspurger, con lo styling di Lotta Volkova.
 ??  ?? Un altro scatto di Robbie Augspurger: Man & Friend. Le opere del fotografo di Portland, riconoscib­ili per i riferiment­i rétro e per una ricerca della bellezza nella banalità, sono diventate virali su Internet. E la sua estetica ha colpito Demna Gvasalia, noto per aver infuso nel marchio Balenciaga il gusto della normalità elevata a must-have.
Un altro scatto di Robbie Augspurger: Man & Friend. Le opere del fotografo di Portland, riconoscib­ili per i riferiment­i rétro e per una ricerca della bellezza nella banalità, sono diventate virali su Internet. E la sua estetica ha colpito Demna Gvasalia, noto per aver infuso nel marchio Balenciaga il gusto della normalità elevata a must-have.

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