La Mostra un misto di dolore e bellezza, di Caroline Corbetta
Toccano corde profonde le narrazioni inquiete e visionarie del duo artistico BERG-DJURBERG. Ora a Stoccolma in una grande antologica (e presto in Italia).
Quando incontro per la prima volta Nathalie Djurberg, mi mostra spezzoni di videoanimazioni mute sbozzate nella plastilina. È il 2002. Poco dopo l’artista svedese conoscerà il compositore Hans Berg e la musica entrerà con forza nel suo immaginario fiabesco e crudele tanto che, dal 2012, le opere sono firmate da entrambi. Di stanza a Berlino, Nathalie e Hans tornano ora nella loro Svezia, al Moderna Museet di Stoccolma, con “A Journey Through Mud and Confusion with Small Glimpses of Air”, antologica che arriva in autunno al Mart di Trento. Poco più che ventenne ha iniziato a fare animazioni in plastilina con la tecnica passo uno, ma già da bambina plasmava pupazzi usando carta igienica bagnata. Quando ha capito di essere un’artista?
N.D. Faccio quello che faccio da sempre, certo in maniera diversa e più complessa. Non ho scelto di essere artista ma spesso mi sono chiesta se volevo continuare a esserlo. La prima volta ero ancora all’accademia: è lì che la maggior parte delle mie convinzioni sull’arte è crollata. Nello stesso tempo ho capito che l’arte è uno dei pochissimi ambiti della società dove poter esplorare gli aspetti scomodi dell’esistenza, e che sono solo io, l’artista, a stabilire i confini di ciò che sto facendo.
Ha già esposto al Moderna Museet nel 2005. Come siete cambiati lei e il suo lavoro da allora?
N.D. Realizzo ancora animazioni in stop motion ma, da una decina d’anni, ho cominciato a fare sculture. Io non sono per niente cambiata, allo stesso tempo sono completamente diversa. Posso vedere il mio sviluppo attraverso quello del mio lavoro, continuo ad affrontare gli stessi argomenti seppur da prospettive differenti.
Il tema principale è la paura, specie la più grande di tutte, quella della morte. Sbaglio?
N.D. Trovare la bellezza, la follia e la stupidità nell’esistenza e osare toccare ciò che fa male e contiene un misto di dolore e bellezza – ecco, credo sia questa la ragione principale per cui faccio arte. Ma forse dietro c’è solo la paura di restare ferma, che è anche paura della solitudine, del vuoto. E quindi, sì, si arriva alla paura della morte. (sorride)
Come funziona la vostra collaborazione?
H.B. Non c’è una formula: il più delle volte quando lei ha un’idea per un nuovo lavoro cominciamo a parlarne in termini piuttosto astratti. Quando il progetto si fa più concreto, e Nathalie inizia a lavorare sul set tra pupazzi e sculture, io comincio a pensare a che mood devo veicolare, ascolto brani per ispirarmi, raccolgo campioni e registro qualcosa in studio. Poi lei mi mostra l’opera finita e solo allora compongo. La musica agisce emotivamente sullo spettatore e influenza le sue reazioni rispetto a ciò che sta guardando; inoltre conferisce al lavoro una tridimensionalità che riempie lo spazio espositivo.
Che tipo di musica produce al di fuori di questa collaborazione artistica?
H.B. Techno per club, che talvolta si innesta in quella che sto facendo con Nathalie: mi piace fondere i due diversi mondi musicali per creare qualcosa di nuovo. Il mio prossimo progetto è un “surround sound live concert”, in anteprima al Moderna Museet il 24 agosto, con musica proveniente dalle opere mixata con la mia techno. E in autunno uscirà un mio album con l’etichetta newyorkese 2MR.
Cosa vedremo al Moderna Museet?
H.B. È un’antologica molto intensa, che include tanti lavori: dai primissimi alle opere nuove, musica, videoanimazioni e sculture. E grandi installazioni, come la patata gigante realizzata per la personale alla Fondazione Prada del 2008, “The Experiment” per la Biennale di Venezia del 2009 e “The Parade” (2011), che finora è stata vista solo negli Stati Uniti. Il titolo stesso descrive un po’ come ci siamo sentiti realizzandola e anche come pensiamo potranno sentirsi i visitatori attraversandola. •
*Caroline Corbetta ha invitato Nathalie Djurberg alla sua prima mostra internazionale, la biennale dei Paesi nordici “Momentum”, da lei co-curata nel 2004. Da allora sono seguite diverse collaborazioni.