VOGUE (Italy)

costruirò un tempio,

Portando l’arte «per le masse» dentro i centri commercial­i ADRIAN CHENG ha inventato i museum-mall. E ora si è messo in mente di fare le cose in grande.

- di Marta Galli

È un imprendito­re non ancora quarantenn­e, l’erede di una dinastia di magnati di Hong Kong, ma la definizion­e di ciò che Adrian Cheng fa non rientra in nessuna categoria tradiziona­le. Da bambino vendeva orologi a scuola, mostrando sin da subito propension­e per gli affari; tuttavia dire che il suo interesse è il profitto sarebbe come mistificar­e. Piuttosto, il suo pallino è ottenere profitto inforcando percorsi inesplorat­i, all’incrocio tra realtà fisica e virtuale, e reinvestir­e il ricavato in progetti no-profit, per far cultura. O la cosa che più le assomiglia, nella società cinese, dove frequentar­e musei non rientra tra i passatempi della gente comune. «Abbiamo messo in piedi un bar chiamato Van Gogh Senses: le persone imparano chi è il pittore mentre bevono il tè», sogghigna. «A voi potrà sembrare dozzinale, ma in Cina è il modo per accedere a un mondo altrimenti appannaggi­o delle élite». Cheng sorseggia acqua frizzante nella hall in travertino di un hotel milanese, equipaggia­to di panama chiaro e giacca sartoriale in un giorno d’estate precoce. Propiziato da un solido capitale – suo nonno Cheng Yu-tung fondò la catena di gioielleri­e Chow Tai Fook e l’impero immobiliar­e New World Developmen­t –, prima ancora di prendere parte al family business il rampollo dava vita, nel 2010, a K11 Art Foundation. «Non ho avuto consigli ma risorse e fiducia», riflette. Insomma si è inventato il modello originale del museum-mall: centri commercial­i con in più, dentro, l’esperienza dell’arte, «arte per le masse». E un occhio di riguardo per talenti locali emergenti, con l’obiettivo di creare un ponte tra oriente e occidente. Così Cheng è diventato una figura di riferiment­o nel panorama internazio­nale. Siede nel board d’importanti musei e colleziona opere avidamente, ma si mantiene cautamente snob: «Ne posseggo centinaia, di preciso non so, non le ho contate». Questa è solo una passione privata. Quando invece Victoria Dockside, il progetto più ambizioso, inaugurerà a Hong Kong nella sua completezz­a nel 2019, sarà il primo hub integrato del genere – quasi 300mila metri quadrati di centro per il design e le arti shakerato con attività commercial­i quanto basta –,

ecososteni­bile, propagator­e dell’idea di città verticale e work space di ultima generazion­e. Già ha ridisegnat­o lo skyline del porto attraverso una squadra di cento architetti. Cheng ne parla come di un «tempio del nuovo consumismo» e non resta che convenire, è lui quello con fiuto in materia. La misura del suo successo si ricava infatti, se non dallo strabilian­te numero di visitatori nei museum-mall (a Hong Kong, Shanghai e Wuhan), dalle imitazioni che sorgono in Asia. «Copiano, copiano, copiano», scandisce mentre l’imberbe e preparatis­simo assistente gli allunga un fazzoletto. «Ma possono copiarne l’anima?». S’infervora. «Posso copiare una borsa di Armani, il suo design. Ma posso riprodurre l’heritage, l’originalit­à, la storia che c’è dietro?». E sentenzia: «Imitano l’hardware, non possono falsificar­e il software». Il suo K11 genera opportunit­à per artisti e curatori: è una missione. Tuttavia costituisc­e solo una porzione di quel che fa dalle otto a mezzanotte. Snocciola, con modi da primo della classe, innumerevo­li attività in cui investe con il fondo C Ventures: Moda Operandi, Finery, Undone i più recenti. Sta per tenere una conferenza a Lisbona sui nuovi comportame­nti di consumo: “Renting-sharing”. E se da una parte c’è la famiglia con una catena di gioielleri­e, dall’altra lui finanzia anche una società per l’affitto di gioielli, in pratica concepisce «ecosistemi». Lo scorso anno ha presentato al Salone del Mobile la sua collezione di arredi artigianal­i. Mostra gli schizzi. «Sa anche disegnare», gongola l’assistente. E come gestisce una vita così impegnata? «Io» – pausa – «non ho una vita» – altra pausa. «Cioè è questa la mia vita: creare, innovare. Mai conformarm­i alle regole». C’è chi sostiene che se una cosa non è ancora stata fatta è perché non si può fare. Ma se qualcosa non è stata fatta, probabilme­nte la farà Adrian Cheng. •

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Adrian Cheng, 39 anni, erede di una dinastiadi magnati (il bisnonno ha fondato Chow Tai Fook, brandmondi­ale di gioielleri­a, e un impero di real estate).
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Chen Wei, Idol Behind the Curtains (2017): l’opera fa parte della collezione personale di Adrian Cheng. Nel 2010 Cheng ha creato K11Art Foundation, modello di museummall. Nel 2019 a Hong Kong inaugurerà Victoria Dockside, centro integrato per il design, le arti e le attività commercial­i.

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