i GIARDINIERI,
COSÌ, QUATTRO ANNI FA, NELLA CAMPAGNA toscana, AVVIAI UNA COLLABORAZIONE CON LA TERRA BRULLA CHE circonda LA STALLA di pietra IN CUI VIVIAMO.
COME gli SCRITTORI, HANNO DUE APPROCCI COMPLETAMENTE DIVERSI alla CREAZIONE. IL PRIMO CONSISTE NEL pianificare TUTTO A MONTE; IL SECONDO, INVECE, NEL PARTIRE DA un SINGOLO istinto E LASCIARE CHE LA TRAMA si SVILUPPI NATURALMENTE.
SIA COME SCRITTRICE SIA come GIARDINIERE, PERSONALMENTE PREFERISCO quest’ ULTIMO.
Sono cresciuta sulla costa meridionale dell’Inghilterra, in un quartiere piccolo borghese dove le case, una del tutto simile all’altra, erano personalizzate dalla varietà di giardini di cui ciascuna di esse si vantava. Nonostante il nostro fosse relativamente piccolo, i miei genitori erano riusciti a creare una serie di “stanze” in cui ho passato gran parte della mia infanzia. Ero infatti più a mio agio nel giardino che in casa. Lì potevo esprimermi liberamente, al riparo dallo sguardo severo dei miei, e allo stesso tempo mi sentivo al sicuro dal mondo esterno. Questa sensazione di libertà bilanciata da contenimento è qualcosa cui ho sempre aspirato anche da adulta, ed è la base da dove parto per creare giardini, romanzi e saggi.
Quando mi sono imbarcata in questo progetto, non sapevo in che direzione stavo andando, benché fossi irremovibile sul fatto di rendere omaggio al paesaggio locale, e dunque non intendessi ricreare un giardino inglese. Ho passato giorni e settimane a fissare quel pezzo di terra brulla, finché a un certo punto l’istinto mi ha suggerito di cominciare dall’ingresso che, quattro anni fa, non era altro che un cancelletto di rete metallica attraverso cui ci si imbatteva in una pietraia di due acri, piena di granito e argilla. Fatta eccezione per tre querce sul retro della casa, non c’era un singolo germoglio verde in vista... neanche un’erbaccia. Che ironia, ho pensato, essere passati dal trasformare in giardino un terreno sabbioso coperto di arbusti in riva al mare a Cape Cod a questo terreno roccioso così impervio. Ero forse destinata a importare terra dovunque andassi?
Non appena individuato, per così dire, il “punto d’accesso” al giardino, mi è sembrato ovvio che la prima cosa da piantare dovevano essere tre ulivi; uno per ciascuno dei nostri figli. Li ho scelti vecchi, nodosi, perché alla nostra età chi ha il tempo di vederli crescere? I vivaisti ci hanno messo un giorno intero a scavare buche sufficientemente profonde per le enormi zolle delle radici, ma, una volta piantati, la trama era avviata.
Metti tre personaggi importanti in scena e saranno loro a suggerirti cosa succede dopo... senz’altro un nuovo cancello, in stile rustico. E quel pendio che dal cancello scende giù fino alla casa? Ovviamente dei gradini di pietra che, come un pindarico volo d’immaginazione, porteranno al patio davanti a casa, sul quale i contadini proprietari della terra avevano montato un rudimentale pergolato.
Mentre i muratori costruivano i gradini, ho cominciato a dare dei colpi di scalpello al terreno davanti al patio. L’attrezzo ridicolmente piccolo, giustamente chiamato male-peggio, con il quale stavo cercando con grande determinazione di iniziare a scavare, non era ovviamente adeguato a quel tipo di lavoro. Uno degli uomini, vedendomi grugnire e imprecare di fronte alle scintille che volavano, è sparito per venti minuti ed è ritornato con un martello pneumatico con cui ha rapidamente sgretolato il terreno, per poi aiutarmi a rimuovere le pietre più grosse.
Mentre lui riprendeva il lavoro con i suoi colleghi, ho rovesciato una decina circa di grossi sacchi di terra e ho cominciato a piantare. Alla fine della giornata, i gradini avevano l’aria di essere sempre stati lì, e il fondo appena ripiantato era pieno di rosmarino cascante, timo, origano, menta, verbena, maggiorana, erba cipollina e lavanda. Nella luce della sera, gli ulivi fremevano al vento.
La trama cominciava a infittirsi.
Mi ci sono voluti tre anni per creare una serie di stanze e di spazi, ognuno comunicante con quello accanto, e allo stesso tempo completamente autonomo.
HO SCELTO SOLO PIANTE MEDITERRANEE E robuste ROSE
rampicanti, ADATTE A TERRENI PIETROSI ED estati ARIDE. COSÌ ANCHE per GLI ALBERI: ULIVI, MELOGRANI, FICHI.
Non c’è spazio per il colonnato così tipicamente toscano di cipressi, e allora ho deciso di metterne uno solo, che sembra quasi un punto esclamativo. Il secondo autunno ho noleggiato una scavatrice per rigirare il resto del terreno di fronte a casa, ho portato del terriccio e seminato il trifoglio.
Ed era magnifico. Ma, come gli scrittori e i giardinieri sanno bene, l’editing e la revisione svolgono un ruolo cruciale nella creazione di un lavoro ben riuscito. Il trifoglio era troppo ricercato, così l’autunno seguente ci ho seminato sopra dell’erba qua e là, ottenendo un tappeto fitto e più naturale.
Le rose che avevo immaginato arrampicarsi sul pergolato si sono rifiutate di fare quello che era stato loro chiesto. Così le ho tirate via e trapiantate sulla recinzione di pietra e legno di recente costruzione, dove stanno crescendo rigogliose. A ricoprire la pergola al loro posto ora c’è un glicine, il suo profumo a primavera avanzata si mescola con quello della ginestra e del gelsomino, che si sta lentamente espandendo sulla facciata della casa. Poi, appena il loro profumo si affievolisce, l’arbusto della rosa Madame Alfred Carrière emana tutta la sua dolcezza, seguito dalla rosa Nahema sull’arcata all’ingresso. E, infine, da circa una quarantina di piante disseminate tra bordure e aiuole arriva il rilassante effluvio di olio di lavanda.
Il retro della casa è dove passiamo i pomeriggi, all’ombra delle tre vecchie querce. L’unico inconveniente è che gli alberi sputacchiano linfa sulle nostre belle magliette bianche, macchiandole in modo indelebile. La soluzione? Un dondolo coperto. Questo continuo oscillare tra la natura e noi umani è uno dei motivi per cui amo il giardinaggio; ti fa restare umile e stimola l’immaginazione. C’è un angolo del giardino che ho sempre considerato privo di feng-shui, perché situato più vicino alla strada.
Anche se in realtà nessuno la vede, per via delle siepi alte ormai due metri, e nonostante le auto vi passino di rado, a livello psicologico la strada resta comunque un’intrusione.
Dopo averci riflettuto per un paio di anni, ho finalmente capito che c’era bisogno di un altro strato di arbusti alti, così da trasformare il negativo in qualcosa di sorprendente e spettacolare. Una scala a pioli, appoggiata contro una delle querce cui è appesa un’altalena, aggiunge un tocco di mistero, e otto cespugli di camelia non solo fanno da tampone rispetto al mondo esterno, ma i loro fiori di uno sfolgorante scarlatto sono i primi colpi di colore in primavera.
Il giardino, che oggi ha quattro anni di vita, sembra essere lì da decenni. Quest’anno ho scelto di non aggiungere nulla, per concedere a me stessa di starci seduta, e di provare a godermelo tanto quanto fanno tutti i nostri ospiti. È difficile restare fermi quando si vede un’erbaccia, anche se nessun altro la nota. E c’è ancora dell’altro editing da fare. La lunga bordura mediterranea ci sta sfuggendo di mano, e quel campo vuoto sul retro continua a chiamarmi.
Il fatto è che con la natura non c’è un ultimo atto.
Giardinaggio significa vivere il momento, nutrire un pezzo di terra di cui hai il privilegio di essere il custode temporaneo. Riguarda sia la connessione con il pianeta, sia l’accettazione dell’impermanenza dell’essere.
Una trama senza fine, con misteri ancora tutti da svelare. • Il fotografo e regista americano Joel Meyerowitz (80 anni), considerato il padre della fotografia di strada, è celebre anche per i ritratti e i paesaggi.
Ha esordito nel 1962 e si è dedicato definitivamente alla fotografia a colori dal 1972; finora ha pubblicato 16 libri. La sua mostra “Out of the Darkness” è in corso fino a gennaio 2019 al Bombas Gens Centre d’Art a Valencia. Con la moglie, la scrittrice, nonché artista e fotografa Maggie Barrett (1946), ha realizzato, tra i vari, anche un libro sulla Toscana, regione dove si trova il podere raccontato in queste pagine, intitolato “Tuscany. Inside the Light” (2011).