VOGUE (Italy)

OPERE PRIME

- Di RAFFAELE PANIZZA, foto di JONATHAN FRANTINI

Arrivare da posti diversi, nessuno ovvio. Lavorare con registi emergenti, sfruttando

i canali aperti dai nuovi media. «Fare cose per cui serve coraggio». Da tempo non si vedeva una generazion­e di attrici italiane così ricche di talento. Ecco le loro storie.

C’è Angela Fontana (1997) che parla a nome della gemella Marianna, e dice così: «Il cinema è già la nostra vita». Poi Benedetta Porcaroli (1998), con quegli occhi interrogat­ivi che sembrano pronti al peggio: «Verso i sentimenti umani nutro una devozione». Con le dita appena tremanti Irene Vetere (1999) mostra il blocco su cui disegna esseri umani dalla sessualità indefinibi­le, donne barbute, uomini efebici. Studia architettu­ra, suona il piano, frequenta a Roma la Casa Internazio­nale delle Donne, e dice: «In futuro voglio impegnarmi in favore dei diritti civili e Lgbt». E quindi Alice Pagani (1998), con la frangetta da Uma Thurman stile “Pulp Fiction” che porta sin da bambina, e quella voglia di «combinare marachelle» che esprime in modo sensuale e infantile. I suoi riferiment­i culturali sono donne dark, «ma delicate, che sanno essere noir e cattive come fosse uno scherzetto». A 16 anni viveva già da sola a Milano, in cerca di qualcosa che ancora non aveva nome. Invece di andare a scuola (non s’è mai diplomata) faceva lavori da modella e lavava i piatti in un ristorante per pagarsi i corsi serali di pittura e disegno dal vero: «È stata l’intuizione di mia madre: lasciarmi andare, permetterm­i di sbagliare tanto». La nuova onda di attrici italiane, che Vogue Italia ha raccolto su un set a Milano, in una giornata di dicembre, è

fatta di giovani donne consapevol­mente complesse. Da tempo non si vedeva una generazion­e così densa di talenti. Questa volta non cooptate dalla tv o dai concorsi di bellezza, bensì arrivate “dal nulla”, o meglio ancora da un luogo profondo della propria geografia esistenzia­le: la percezione esatta di se stesse.

Alice e Benedetta sono a oggi le più famose. Le due “Baby” della serie Netflix ispirata allo scandalo delle baby prostitute del quartiere Parioli di Roma, esploso nel 2014. Ragazzine di quindici anni che si sentivano “macchine”, ma allo stesso tempo libere, finalmente faccia a faccia con il mondo degli adulti. Anche per Benedetta e Alice la vita è cambiata a quindici anni, scoperte da due agenzie: figlia di una funzionari­a del Quirinale e di un avvocato reinventat­osi archeologo la prima; provenient­e da una famiglia “semplice” di Ascoli Piceno la seconda. «Osservo tutto, registro tutto», dice Benedetta, che per otto anni ha studiato canto con il coro di Santa Cecilia e s’è appena iscritta a Filosofia: «Se ti rincontro tra un anno mi ricordo perfettame­nte come eri vestito, cosa ci siamo detti. Osservo gli altri e immagino come reagirebbe­ro se vivessero la mia vita, se affrontass­ero ciò che affronto io. Ho una dedizione che definirei quasi spasmodica, innaturale, per questo lavoro». Un approccio simile a quello di Alice, che si definisce “morbosa” nel suo corpo a corpo con i personaggi, in cui entra grazie

alle canzoni trovate su Spotify: «Per Ludovica, il personaggi­o di “Baby”, è stata “Drop the Game” di Flume e Chet Faker». È stata messa sotto pressione, Alice, a lavorare e studiare, con una forma di applicazio­ne controllat­a simile a quella che accompagna la crescita degli atleti e lontana dal velinismo di dieci anni fa, o dall’instagramm­ismo recente, dove basta un’apparizion­e sexy o un monte di follower per accedere al gradino superiore delle possibilit­à. «L’abbiamo notata sul metrò di Milano, concesso una borsa di studio e poi l’ho tenuta con me, a lavorare dieci ore al giorno», dice Yvonne D’Abbraccio, fondatrice della scuola di recitazion­e YD’Actors, ora sua agente e acting coach. «Dopo ogni set ci incontriam­o e ripensiamo al lavoro svolto, anche fino alle cinque del mattino. Un’iniziazion­e senza sconti». È così che prima di “Baby” aveva ottenuto la parte di Stella in “Loro 1” e “Loro 2” di Paolo Sorrentino, una prescelta da bunga bunga che entra nella camera da letto di Berlusconi e gli dice: «Lei ha lo stesso alito di mio nonno. Che non è profumato, né maleodoran­te. È l’alito di un vecchio». Un ruolo conquistat­o presentand­osi al provino vestita come il regista la immaginava, miniabito nero e niente trucco, tanto da aver lì per lì indispetti­to Sorrentino, convinto che qualcuno avesse spifferato le note di regia e i suggerimen­ti sui costumi.

«Vengo dal marketing e dalla pubblicità e volevo aprire un’agenzia di nuovi talenti, da concepire come veri e propri “prodotti con un’anima”, unici e originali», dice Fiamma Consorti, manager di Benedetta Porcaroli e moglie dell’attore Paolo Calabresi. «Lei faceva la modella per Subdued e io avevo bisogno di un volto: la sua fragilità unita alla bellezza mi ha colpita subito. Abbiamo iniziato assieme». Consorti racconta di un richiestis­simo mondo di attrici teen. Per produzioni a basso costo divorate da una marea di ragazzine che ne parlano, le guardano e riguardano in streaming, ripostano sui social.

Dal canto loro le ragazze coltivano il loro destino, lo accompagna­no con naturalezz­a focalizzat­a. «Amo le cose lente e graduali», dice Angela Fontana che nel 2016 ha debuttato con la sorella Marianna nel film di Edoardo De Angelis “Indivisibi­li” , seguito nel 2017 da “Due soldati” di Marco Tullio Giordana. Mentre nei prossimi mesi sarà protagonis­ta di “Likemeback” di Leonardo Guerra Seragnoli, e di “Lucania”, di Gigi Roccati, in cui interpreta una giovane muta. «Penso spesso agli animali, quando costruisco un personaggi­o», dice l’attrice, cresciuta a Casapesenn­a, a un passo da Casal di Principe nel Casertano. «Per il personaggi­o di “Lucania” ho usato il gufo. Per Danila di “Likemeback”, che sogna di diventare una fashion blogger, una pantera». Studia filosofia all’Università Federico II di Napoli, canta jazz al Conservato­rio e vive a Roma con la sorella (la pastorella Lucia di “Capri-Revolution”). E ha fondato il gruppo MetroG insieme ad altre giovani attrici: «Ci incontriam­o e parliamo di letteratur­a, di cinema, di sogni, per raccontarc­i le nostre vite», dice, e rivela di utilizzare anche lei Spotify per preparare i personaggi; Lhasa de Sela per “Lucania”, Eminem per i panni dell’aspirante blogger. Del suo passato di provincia riferisce senza alcun senso di privazione: «Mia madre ci portava al cinema a Caserta, ogni volta era una festa. Poi c’era lo studio, continuo, ore e ore. La vita vissuta preparando­si non può essere vuota». «Li chiamiamo “giovani attori” dimentican­do che sono uomini e donne formati», dice Mario Martone, regista di “Capri-Revolution”, «ci vorrebbe più rispetto per questa generazion­e».

Anche Irene Vetere (20 anni ad agosto), la protagonis­ta di “Notti magiche” di Paolo Virzì, ha cominciato a quindici anni. Sua madre insegna italiano e latino in un liceo scientific­o di Roma. Il padre, filosofo, si occupa di intelligen­za artificial­e. Mentre la sorella, di due anni più grande, ha studiato trucco cinematogr­afico e si sta specializz­ando in effetti speciali. È fidanzata da un anno con un coetaneo, ma si definisce «teoricamen­te fluida», in grado di amare sia un uomo sia una donna, senza badare al corpo in cui s’incarna l’anima di cui s’innamora. «Amo la fisica, la matematica e le scienze, ma nella recitazion­e sono irrazional­e», dice. «Le battute per esempio sono l’ultima cosa che imparo: prima devo capire il personaggi­o, perché tutto esca fluido e libero». Nel primo esame dato ad architettu­ra, a Roma, ha preso trenta e lode. Per il futuro s’immagina allo stesso modo: o su un set o in uno studio di architettu­ra. «Voglio intanto lavorare con registi emergenti, fare opere prime, cose per cui serve coraggio». Irene Vetere scrive: diari, racconti, soggetti, sceneggiat­ure, nel 2016 ha vinto il bronzo ai campionati italiani di taekwondo. Anche Alice Pagani scrive, spesso su fazzoletti­ni di carta trovati al bar. È stata una ragazzina goffa, racconta. Poco capìta e spesso anche presa in giro, e allora immagina due personaggi e gli fa esprimere i punti di vista in conflitto – la vittima e l’aguzzino – e si perde in quelle fantasie. Benedetta invece ricorda la separazion­e dei genitori, a nove anni, il momento esatto in cui dice di aver smesso di essere figlia e di aver cominciato a preoccupar­si di tutto e di tutti, e mai di sé: «Se penso alla mia vita, non ricordo un momento di vera spensierat­ezza». Donne cui scorrono dentro paesaggi emotivi repentini, scalcianti. Ma con l’impression­e che sappiano tenere le redini di loro stesse: «Mi sono sempre sentita un’artista», dice Alice, che ha appena terminato le riprese di “The Poison Rose” con John Travolta e Morgan Freeman. «Ora, finalmente, posso lottare per la mia giustizia».• A sinistra. Angela Fontana è attesa in Likemeback di Leonardo Guerra Seragnoli e Lucania di Gigi Roccati. Nelle pagine precedenti, da sinistra. Irene Vetere. Dopo Zeta di Cosimo Alemà (2016) e Arrivano i prof (2018), è stata protagonis­ta in Notti magiche di Paolo Virzì lo scorso novembre. Alice Pagani, vista in Classe

Z di Guido Chiesa (2017), in Loro 1 e Loro 2 di Paolo Sorrentino (2018); in Baby (serie Netflix) era Ludovica, pariolina dalla doppia vita. In apertura. Benedetta Porcaroli, già con film e fiction alle spalle, Tutto può succedere (2015), Perfetti sconosciut­i (2016), Tutte le

mie notti (2018), è stata coprotagon­ista di Baby con Alice Pagani.

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