VOGUE (Italy)

A TINTE ACCESE

- Di ELISABETA TUDOR, foto di HARRY CARR

Moda e arte. Scarpe e gatti. Seduzione e libertà. Gherardo Felloni, neo direttore creativo di Roger Vivier, e l’artista svizzero Nicolas Party condividon­o una certa visione del mondo: non proprio in bianco e nero.

Nella prima collezione di Gherardo Felloni, nuovo direttore creativo di Roger Vivier, dal titolo “Hotel Vivier”, le scarpe sublimano in silhouette dai colori audaci, decorate con piume, cristalli e fili intrecciat­i, dichiarand­o esplicito interesse verso il mondo dell’arte. Nicolas Party, artista visivo svizzero, condivide con Felloni una spiccata vocazione decorativa. Per Vogue Italia i due si sono incontrati nella casa parigina dello stilista.

Innanzitut­to, come è cominciata la vostra amicizia? E cosa significa per voi?

Gherardo Felloni: Ci siamo conosciuti a Milano, tre anni fa. Nicolas aveva una mostra nella galleria di Francesca Kaufmann (la Galleria Kaufmann Repetto, ndr). A dire il vero, ho comprato un suo lavoro.

Nicolas Party: Francesca è una vera esperta di moda e di arte contempora­nea, e in un certo senso è stata lei a creare la connession­e tra noi due. Non solo: è anche una grande collezioni­sta di scarpe! Scommetto che ha comprato ogni singola scarpa che hai disegnato, vero Gherardo?

Il mondo della moda trae ispirazion­e da quello dell’arte, mentre la scena artistica contempora­nea tende a mantenere una distanza di sicurezza dall’universo della moda. G.F.: A dire il vero, penso sia una cosa positiva che il mondo dell’arte mantenga una certa distanza. L’arte a volte può essere concentrat­a sul business, ma alla fine resta pur sempre arte. Il mio lavoro di fashion designer è consacrato al brand per cui lavoro: anche se creativi, noi stilisti dobbiamo pensare al potenziale commercial­e di ogni singolo oggetto che disegniamo. I nostri prodotti hanno uno scopo preciso: quello di essere comprati e usati. L’arte non ha questo genere di fine utilitaris­tico. Gli artisti possono fare quello che vogliono, a condizione di riuscire a colpire ed emozionare a livello personale. Non sono costretti ad adattarsi al mercato e al suo ritmo, prima di tutto catturano la bellezza.

N.P.: Come artista, firmi un contratto con te stesso: quello di essere estremamen­te devoto alla tua immaginazi­one. Hai il diritto di fare quello che vuoi, e di perseguire la tua personale missione.

Vi sentite reciprocam­ente ispirati dall’universo creativo dell’altro? O questo influisce solo sulla vostra amicizia? N.P.: Traggo molto ispirazion­e dagli stilisti, in realtà, perché il mio lavoro è estremamen­te visivo e contiene tanti elementi decorativi. Quello di Gherardo ha una grande giocosità, per quanto riguarda i colori e le forme. Di lui mi ispirano il carattere, il suo universo e l’energia che riesce a trasmetter­e in ogni pezzo che disegna. G.F.: In un certo senso, è molto più facile per uno stilista essere ispirato da un artista: guardiamo il suo lavoro, e possiamo poi tradurre le nostre impression­i in qualcosa da indossare, attraverso colori, forme e motivi che useremo in seguito per le nostre collezioni. Il lavoro di Nicolas, per esempio, è la fonte perfetta per la mia palette di colori! Ammiro il suo sguardo sulle cose e il modo in cui usa i colori pastello.

A parte la vostra “ossessione per il colore”, avete qualcos’altro in comune?

G.F.: Quando ho cominciato a lavorare per Roger Vivier, la mia ossessione erano i gatti... e Catherine Deneuve!

(ride, ndr): lei recitava in “Duo des chats”, il cortometra­ggio per linea Très Vivier, insieme a Nadia Tereszkiew­icz, che nel film si azzuffa con il proprio doppio per via di un paio di scarpe ispirate all’archivio, disegnate da me. I gatti sono tornati di moda... non chiedetemi il perché! Posso solo dire che una mattina mi sono svegliato con la voglia di cantare “Duetto buffo di due gatti”, di Gioachino Rossini – titolo che ho poi usato per il cortometra­ggio “Duo des chats”. Il gatto è un animale misterioso e ci suggerisce di abbracciar­e la nostra indipenden­za e la nostra natura curiosa, in un certo senso è qualcosa che posso capire. Da un punto di vista creativo, vale la pena esplorarlo.

N.P.: Il gatto è un simbolo molto importante anche nelle mie opere, e probabilme­nte uno degli animali più rappresent­ati nella storia dell’arte e della cultura pop. Così, di fatto, quando si lavora con questo animale è come se si avviasse una conversazi­one con un’entità emblematic­a che risale all’antico Egitto. La cultura nei secoli è cambiata, così come sono cambiate la spirituali­tà, la religione, la politica, l’economia e i linguaggi artistici – eppure il gatto è rimasto una presenza costante nella storia delle arti. Basta guardare i dipinti di Balthus o di Manet per capire la forte valenza simbolica di questi animali e come i pittori tendano ad attribuire loro un’anima. I gatti sono quasi uno specchio di noi stessi: uno specchio che riflette la nostra storia.

Visto che ne stiamo parlando, i gatti sono molto legati alla nozione di femminilit­à. Che cosa significa femminilit­à per voi?

G.F.: Come stilista, mi piace molto l’idea di essere al servizio delle donne. E mi piace anche l’idea di giocare con la femminilit­à e studiare la sua evoluzione nel tempo. I tacchi, per esempio, possono essere femminili, ma, allo stesso tempo, moderni come un paio di sneakers. Per questo ho disegnato molti tacchi a rocchetto nella mia prima collezione per Roger Vivier, perché permettono di muoversi liberament­e e più velocement­e rispetto ai tacchi alti. Femminilit­à significa libertà di essere qualsiasi cosa si abbia voglia di essere: sofisticat­a o comoda, o entrambe le cose; forte o remissiva, o entrambe le cose. Significa tutto. Le donne oggi non hanno più l’obbligo di essere seduttive per essere viste come femminili, il che è un vero passo avanti in direzione di un modo diverso di intendere la femminilit­à.

N.P.: La nozione di genere ha un ruolo importante nell’intero corpo della mia opera. L’archetipo dei miei ritratti, infatti, è pressoché asessuato. È stato ispirato da quelli di Picasso nel suo periodo cubista, e dal modo in cui lui stesso aveva guardato alle sculture greche e romane, in cui l’idea di bellezza del volto è la stessa sia per gli uomini sia per le donne.

Dagli artisti e dagli stilisti ci si aspetta sempre che creino qualcosa di nuovo, qualcosa di mai visto prima. La “novità” è diventata infatti un vero e proprio diktat nella nostra società. Come influisce tutto questo sul vostro lavoro?

G.F.: In un certo senso, la “novità” non esiste... il che è un’affermazio­ne davvero filosofica da fare! (ride, ndr). Posso disegnare un paio di scarpe oggi che saranno dimenticat­e non appena comincia la prossima stagione, e che potranno improvvisa­mente diventare importanti tra qualche anno, solo perché si accordano a un qualche trend di quel periodo. Posso anche disegnare scarpe che ogni donna vorrà comprare nel momento stesso in cui toccano gli scaffali, eppure saranno considerat­e “vecchie” non appena in troppe cominceran­no a indossarle. La “novità”, in fin dei conti, consiste nel trovare il giusto equilibrio e

scegliere i tempi giusti. Solo i concetti o gli oggetti a cui non è stata data definizion­e o che non sono stati contestual­izzati in passato possono essere visti come novità assolute. N.P.: Penso che ci siano due tipi di “novità” oggi: l’idea del nuovo come qualcosa di futile, che va e viene, e l’idea del nuovo in un senso commercial­e e capitalist­ico, del tipo: “è nuovo, quindi devo comprarlo” – nessuno sa se questo sia un bene o un male, ma è il mondo in cui viviamo. Gli artisti amano giocare con il concetto di nuovo, ma l’atto di creare si confronta soprattutt­o, e in maniera determinan­te, con il tempo. In quanto artisti e designer, entrambi andiamo avanti e indietro nei secoli come nessun altro è solito fare. Persino tu, Gherardo, quando disegni, puoi guardare a scarpe realizzate dieci anni fa e, contempora­neamente, ispirarti ad altre che risalgono invece a diversi secoli prima. Non è la novità che conta, ma quello che riusciamo a tirare fuori. In fin dei conti, la novità dipende dalla visibilità e dall’interazion­e. •

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 ??  ?? Dall’alto a sinistra, in senso orario. Dettagli dell’abitazione di Gherardo Felloni. Scarpe e libri. Testa di Perseo, XIV secolo; base in cemento rosa e specchio, Duccio Maria Gambi. Porcellane Meissen, primo 900. Sui ripiani: Cher in uno scatto di Francesco Scavullo, collages di Roberta Marrero, piatto di Pablo Picasso. Acrilico su tela di Victor Vasarely, 1975; bozzetto di ballerina in cera di Francesco Messina, anni 60; console di Gio Ponti, anni 60. Copia in gesso dello Schiavo morente di Michelange­lo. Nella pagina accanto. Felloni (39 anni) con Party (39 anni) sullo sfondo della sua opera Back with a Face, 2017. In apertura. Lo stilista ritratto davanti a Portrait, 2015, sempre di Nicolas Party.
Dall’alto a sinistra, in senso orario. Dettagli dell’abitazione di Gherardo Felloni. Scarpe e libri. Testa di Perseo, XIV secolo; base in cemento rosa e specchio, Duccio Maria Gambi. Porcellane Meissen, primo 900. Sui ripiani: Cher in uno scatto di Francesco Scavullo, collages di Roberta Marrero, piatto di Pablo Picasso. Acrilico su tela di Victor Vasarely, 1975; bozzetto di ballerina in cera di Francesco Messina, anni 60; console di Gio Ponti, anni 60. Copia in gesso dello Schiavo morente di Michelange­lo. Nella pagina accanto. Felloni (39 anni) con Party (39 anni) sullo sfondo della sua opera Back with a Face, 2017. In apertura. Lo stilista ritratto davanti a Portrait, 2015, sempre di Nicolas Party.

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