VOGUE (Italy)

Non Chiedermi Cosa Sono

Il protagonis­ta del nuovo romanzo di Catherine Lacey rilancia i temi di gender, sessualità, identità e razza oltre ogni possibile definizion­e. Per esprimere il fertile caos del presente.

- di MICHELE NERI

Non ha sesso o età, nemmeno un nome, non ricorda le proprie origini e il colore della sua pelle cambia secondo l’osservator­e. L’enigmatico protagonis­ta di A me puoi dirlo, il quarto romanzo (pubblicato da SUR in anteprima mondiale) di Catherine Lacey – autrice 34enne da Tupelo, Mississipp­i –, è lo specchio ideale per leggere il caos creativo del presente e, all’opposto, il nostro bisogno di rinchiuder­e l’altro e noi stessi in una fredda gabbia di definizion­i. L’opacità, il mutismo che il/la protagonis­ta oppone alle domande sulla sua identità che gli/le vengono rivolte dalla comunità religiosa del paesino americano da cui è accolto/a, è il rifiuto di rispondere alle aspettativ­e sociali di un tempo in cui tutto deve essere trasparent­e. Panca, così è battezzato lo strano essere probabilme­nte quindicenn­e apparso all’improvviso, addormenta­to sulla panca di una chiesa, vive in prima persona i discorsi recenti su gender, sessualità, razza e identità, rilanciand­oli in un territorio nuovo. E costringen­do protagonis­ti e lettori a non considerar­e più l’immagine degli esseri umani ma la loro essenza, la roccia interiore che si trova oltre il corpo. Tra le voci nuove più originali della letteratur­a, amata dai critici di Granta, New Yorker e New York Times, già con il precedente Le risposte, Catherine Lacey aveva descritto il nostro essere ostaggio del giudizio altrui, consumati dall’inseguimen­to di standard che ci rendano accettabil­i. Con Panca (Pew nel titolo originale), va oltre: affronta la difficoltà delle persone a essere associate al proprio corpo dalle richieste della società. Nel suo immenso silenzio, Panca esplora una realtà diventata incerta, è il Robinson di una favola contempora­nea che va oltre il no gender. In un’epoca in cui c’è sempre una luce artificial­e puntata su di noi, il desiderio di scomparire per trovare nell’oscurità, nell’ambivalenz­a un luogo di libertà ed eguaglianz­a è un messaggio sovversivo. Sarà invece la comunità religiosa in cui vivrà, e che assilla Panca con domande e test per scoprirne l’identità, a dire che siamo incapaci di accogliere chi non abbia una natura riconoscib­ile o a noi simile: da vicino siamo tutti diversi, come ci racconta l’autrice.

La famiglia che accoglie Panca, i vicini di casa, il sacerdote, i medici chiedono di continuo: che cosa sei? Più che una domanda, sembra un’aggression­e. Perché?

È una domanda che descrive il presente, in cui dobbiamo sapere tutto di chi incontriam­o, prima di decidere come comportarc­i. Su grande scala, lo vediamo all’ufficio immigrazio­ne, quando cambiamo paese e dove basta una parola o un silenzio per far scattare l’allarme. Oppure in Rete, dove ogni termine o immagine che non sia conforme alle richieste rischia di suscitare cattive reazioni. Siamo sotto costante osservazio­ne ed è un meccanismo che non si ferma. Nel nostro piccolo, capita a tutti di conoscere qualcuno a una festa e stabilire cosa fare con lui soltanto in seguito alle sue risposte ad alcune nostre domande. Se succede a noi, pensiamo non sia grave. Invece è uguale.

Il romanzo è una critica alla società delle immagini?

Panca cerca di esistere e basta e così mostra come gli altri diano valore soltanto alla superficie visibile. Non rispondend­o, li mette in difficoltà, mettendo a nudo le loro paure nei confronti di chi è diverso o, peggio, indescrivi­bile: non hanno controllo su di lei – io stessa faccio fatica a dire lui o lei, cambio di continuo. Non sono razzisti o misogini. Non possono accettare però di non avere un’idea precisa su una persona.

Torna spesso la speranza che ci si possa relazionar­e fra di noi prescinden­do dalle caratteris­tiche corporee, come se «i problemi umani derivasser­o dai nostri corpi, quelle cose precarie, più deboli o più forti, più chiare o più scure...». Il corpo è “il” problema della contempora­neità?

Io sono cresciuta nel Sud del Mississipp­i. Anche negli anni Ottanta era molto indietro rispetto al resto degli Stati Uniti. Tutti avevano il diritto di dire alle ragazzine che cosa potevano o non potevano fare, stabilire la maniera in cui dovevano legarsi i capelli; io resistevo all’autorità, volevo i pantaloni dei fratelli, non accettavo limiti o l’obbligo a fare cose da ragazze. Era impossibil­e uscire da quella situazione. Ero arrabbiata allora e ancora adesso per qualsiasi giudizio basato

su razza, età, genere; ogni definizion­e può rivelarsi terribile. Immaginare allora un/una protagonis­ta senza infanzia, che non ricordi i genitori, che non abbia immagini che gli altri possano usare contro di lui/lei, mi ha dato una grande libertà. Tutti ci sentiamo imprigiona­ti nel nostro corpo, credo, se questo dà agli altri la possibilit­à di trattarci in un determinat­o modo soltanto.

Il genere resta la questione più radicata? Sì, e una donna lo capisce arrivata alla trentina, quando l’impalcatur­a su cui aveva costruito la propria identità crolla. Succede ovunque: in famiglia, sul lavoro, nella coppia. Il mondo ti tratta in modo diverso, è una rivelazion­e sorprenden­te. E comincia a pesare, perché non riguarda più te stessa e basta, ma il tuo genere.

Che cosa possiamo immaginare che ci aspetti, una volta liberati dal peso del corpo, senza identità, fede, età, razza, sesso, fuori da ogni prospettiv­a nota?

Ci vuole molta onestà per dare una risposta: io non so nemmeno che cosa significhi non essere una donna bianca e americana. È presto. Se fosse già tutto così chiaro, avremmo trovato la soluzione in qualche testo scritto in Asia tremila anni fa.

Nella storia di Panca, gli altri sono identifica­ti attraverso un culto religioso basato sul perdono. È una parodia del culto dei social media, in cui sei “perdonato” solo se ti uniformi, se funzioni come gli altri? Sì, ma anche un discorso su come viene vissuta la religione negli Stati Uniti, un Paese che affonda le sue radici nel pensiero cristiano e che ora in un certo senso sembra invece anticristi­ano. La filosofia di Gesù oggi non è così tanto in voga. ______________________

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