La Terra Dei Troll
Gate crasher, meme, bufale: così l’Alt-right ha manipolato il discorso politico. Nel libro “Antisocial” il giornalista Andrew Marantz spiega come.
Com’è stato possibile che un venditore d’integratori alimentari disoccupato, e autore di un blog antifemminista, sia diventato di colpo un interlocutore politico di primaria importanza, arrivando a influenzare l’esito delle elezioni americane del 2016? E che la campagna per il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti abbia fornito a un’orda d’integralisti dell’Alt-right l’occasione ideale per sequestrare il discorso politico di un’intera nazione, manipolandolo al punto di far votare la maggioranza per Trump, re indiscusso dei troll online?
Per rispondere a domande come queste, riuscendo così a illuminare dall’interno i meccanismi di quella vasta e fertile pancia della Rete dove nascono le fake news, il giornalista di The New Yorker Andrew Marantz ha scritto un saggio di grande attualità, Antisocial (Viking), frutto di tre anni di ricerche e interviste a quelli che chiama gate crashers, gli infiltrati di Internet, razzisti, antisemiti e misogini, creatori instancabili di meme e di altri contenuti destinati a instillare odio e paura. Il libro è la prova più chiara del legame tra Internet e destra estrema.
«La campagna elettorale del 2016 ha visto la prima grande convergenza di centinaia di estremisti armati di portatile, disposti a superare ogni vincolo morale pur di diffondere le proprie falsità», spiega Andrew Marantz, «e di social media costruiti per massimizzare i profitti a scapito della correttezza dell’informazione. A quel punto gli elettori si sono ritrovati in un nuovo e pericoloso ecosistema». Di che tipo? «È avvenuto un cambio di paradigma, per usare un’espressione della scienza. All’improvviso niente è più come prima. E non si può quindi riparare un pezzo qua, mettere un cerotto lì. Il periodo d’incertezza e di disagio durerà anni. Non bastano leggi, più soldi all’educazione o l’intervento dell’antitrust. Occorre che la società si assuma la responsabilità dei social media. Chi li ha creati si è limitato a testarne le potenzialità. Senza pensare alle conseguenze peggiori, e che noi stiamo vivendo sulla nostra pelle». Che cosa dovrebbero fare i social media? «Cambiare i loro algoritmi. Fino a quando baseranno la viralità sul coinvolgimento emotivo, sulla dipendenza dall’eccitazione istantanea, sul fatto che veleno e odio producano maggior traffico, non muterà nulla. Cambiare non sarebbe un attentato al loro modello di capitalismo. All’inizio perderebbero un po’ di soldi, e ora è più conveniente tenere il pubblico sulle loro piattaforme; ma se bruci il cervello dei tuoi clienti, poi non ne hai più. Se non ci provano per la società, lo facciano per se stessi». Partendo dalle singole fake news, Marantz ha risalito la corrente: facendosi largo tra riunioni di bulli da tastiera, inoltrandosi in quelli che definisce «gli angoli luridi di Internet», è arrivato al loro autore originale. È così che è giunto per esempio fino a Mike Cernovich, il venditore d’integratori cospirazionista che per mesi si dedicò alla demolizione online di Hillary Clinton, diffondendo allarmi sulla sua salute, contrassegnati dagli hashtag #hillaryhealth e #sickhillary. Con la bufala che Hillary Clinton avesse il Parkinson, nel settembre 2016 riuscì a far diventare #hillaryhealth uno dei topic più popolari di Twitter, con cento milioni di visualizzazioni, ritrovandosi di colpo uno dei più efficaci
propagandisti della nuova destra americana. Già dal titolo, Antisocial (asociale) contraddice una delle promesse che i vari Facebook o Twitter hanno cercato di venderci, e cioè che le piattaforme fossero un modo per avvicinare le persone, quando l’effetto è anche allontanarle, dando voce e mezzi potenti a chi invece è antagonista e opposto all’ordine sociale. Nel libro individua due responsabili: i vandali online e l’ottimismo spregiudicato dei padroni dei social media. Ci sono responsabilità anche da parte della società civile? «Certamente. Basti pensare ai brogli elettorali e alle tante cose non fatte, soprattutto nell’educazione. Il sistema dell’informazione è marcio alle fondamenta, e così è la nostra democrazia. Non basta cacciare i troll o cambiare alcune leggi dei social media. Il problema è dentro la società, a causa di un mercato che ha fatto della nostra attenzione la propria materia prima. E ci ha convinti che, se un messaggio è stato condiviso più volte, è perché è migliore». Soluzioni? «Al momento non c’è niente di meglio che affidarsi al vecchio scetticismo, e mettere le cose nel giusto contesto. Per questo ci sono ancora i media tradizionali, in cui persone motivate cercano di controllare le fonti, per arrivare vicino alla verità».